di M. Michela Nicolais
Non nemici, ma fratelli. Capaci di scendere dal monte verso la “pianura” dei nostri popoli, per sostenerne la speranza, aprendo “i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità”. È l’identikit dei cardinali, nelle parole cesellate da Papa Francesco per il suo terzo Concistoro, alla vigilia della chiusura dell’Anno Santo straordinario della misericordia. “Proveniamo da terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è una delle nostre più grandi ricchezze”, l’affresco dipinto dal Successore di Pietro, che oggi nella basilica vaticana ha creato 17 nuovi cardinali – tutti presenti tranne il cardinale del Lesotho, 86 anni, per impedimenti legati all’età – di cui tredici con meno di ottant’anni e dunque elettori in un eventuale Conclave più quattro ultraottantenni. “Il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata”, la consegna di Francesco, che ha messo in guardia dal “virus della polarizzazione e dell’inimicizia” presente anche nella Chiesa. L’abbraccio fraterno, intenso e prolungato, tra le “nuove” e le “vecchie” porpore, che ha fatto seguito alla consegna della berretta e dell’anello, e all’assegnazione dei titoli e delle diaconie nelle chiese di Roma, si è prolungato nell’abbraccio al Papa emerito, raggiunto dopo il rito, in pullman, dai cardinali nel Monastero Mater Ecclesiae. In quasi quattro anni di pontificato, Papa Francesco ha creato 55 nuovi cardinali, di cui 44 elettori e 11 non elettori. Il collegio cardinalizio è ora composto da 228 porporati, di cui 121 elettori e 107 non elettori. Vi sono rappresentati i 5 continenti con 79 Paesi, 60 dei quali hanno cardinali elettori.
“Amate, fate il bene, benedite e pregate”. Sono “quattro imperativi, quattro esortazioni” per plasmare la propria “vocazione nella concretezza, nella quotidianità dell’esistenza”. Il Papa li indica subito, spiegando che seguire Gesù è “mettersi in cammino verso la pianura”, verso il “cuore della folla”, in mezzo ai suoi tormenti, sul piano della vita. Il problema nasce quando si aggiungono i destinatari: “Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male”. “E queste non sono azioni che vengono spontanee con chi sta davanti a noi come un avversario, come un nemico”: allora cerchiamo di “squalificarli, screditarli, maledirli, demonizzarli”, per toglierceli di torno.
“Il nemico è qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha figli e non precisamente per toglierseli di torno”.
Sono le parole del Papa dedicate alla descrizione dell’amore di Dio, che “ha il sapore della fedeltà verso le persone, perché è un amore viscerale, un amore materno/paterno che non le lascia nell’abbandono, anche quando hanno sbagliato”.
“Giudicare, dividere, opporre e condannare” non sono verbi che appartengono al vocabolario cristiano: “Nessuna mano sporca può impedire che Dio ponga in quella mano la Vita che desidera regalarci”.
“Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire”, la tesi di fondo di Francesco, che ammonisce: “Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa che possiamo toccare con mano in questo Collegio Cardinalizio”.
“Proveniamo da terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è una delle nostre più grandi ricchezze”.
“Ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti”, la sua diagnosi: “Chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico.
Nemico perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze. Nemico per il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale, nemico perché pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede. Nemico per… E, senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere”. Così, “tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia. Poco a poco le differenze si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza”.
“Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza, che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza!”, esclama Francesco: “Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni”.
“Come Chiesa, continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità”, l’invito che apre la parte finale dell’omelia. “Gesù continua a chiamarci e ad inviarci nella ‘pianura’ dei nostri popoli”, perché “il cammino verso il cielo inizia nella pianura”, dice il Papa chiamando “caro fratello” ogni nuovo porporato. Li guarda dritto negli occhi, Francesco, per esortarli – alla vigilia della chiusura del Giubileo – ad essere “misericordiosi come il Padre”.