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Non so, dunque veglio. La prima domenica di Avvento si presenta così

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A cura di don Andrea De Vico
Anno A – I di Avvento  (Mt 24, 37-44)

“Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà … anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. 

Con la prima domenica di Avvento comincia il nuovo anno liturgico, che con il suo ciclo di letture ripercorre la vita, l’insegnamento e il mistero di Cristo. Un invito a ricominciare, a riascoltare la Parola su di un piano più alto. La liturgia essenzialmente è un incontro con Cristo, come si evince dal formidabile appello di questa prima domenica: “Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà …” Il tempo profano o laicizzato, al confronto, appare ben misero e grossolano, circoscritto com’è alla semplice opposizione del “weekend” ai giorni lavorativi, dei “ponti” e delle “vacanze” a tutto il resto dell’anno.

Non sappiamo il giorno. So di non sapere un bel niente. Per quanto mi applichi allo studio dell’uomo e dell’universo, la cosa più sicura che so è che “non so”. Più ci penso, più mi sfugge il senso della mia identità, della mia origine, del mio destino. Più faccio indagini sulla natura e sul senso della vita, più il mistero si infittisce. Il Qoelet, saggio agnostico e disilluso dell’Antico Testamento, due secoli prima di Gesù aveva dichiarato: “Dio nel cuore umano ha messo il senso dell’eterno, senza che però l’uomo riesca ad afferrare l’inizio e la fine della creazione divina” (Qo, 3, 11) Ciò vuol dire che io, pur possedendo una certa “visione d’insieme” o uno “sguardo panoramico” sull’essere, non riesco a comprendere appieno il progetto della creazione. Pur vedendo me stesso e le cose attorno a me in questo particolare istante, non so dire compiutamente da dove vengo e dove vado. Pur avendo in cuor mio un’esigenza di armonia e di felicità, me la vedo puntualmente smentita dai fatti, e non so perché. E’ un tormento continuo per la mia debole intelligenza, che da sola non riesce a stendere una trama sensata di tutto ciò che la riguarda, come se Dio avesse avocato a sé la conoscenza del Principio e della Fine, l’Alfa e dell’Omega.

Siccome “non so”, posso reagire in modi diversi. Posso fare come quelli al tempo di Noè: “… mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito… non si accorsero di nulla, finché non venne il diluvio e li fece perire tutti …” (Mt 24, 38-39). Oppure come i contemporanei di San Paolo, che si divertivano “in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, fra impurità e licenze, in contese e gelosie” (Rm 13, 13). Anche in Isaia i disperati della vita non sanno dire altro: “mangiamo e beviamo, tanto domani moriremo” (Is 22,13).

Il Vangelo stabilisce un parallelo tra la generazione di Noè e quella di Gesù. Una generazione più incosciente che perversa: pensavano solo a mangiare, bere e divertirsi, senza rendersi conto della rovina che incombeva su di loro. Non si accorsero di nulla, finché il diluvio non sconvolse la quotidianità ripetitiva di quella generazione. Anche la nostra generazione viene chiamata in causa. Incoscienza e perversione sono sempre le stesse. Il male è banale, si ripete sempre allo stesso modo. Vite sprecate per l’effimera soddisfazione di un momento. Noia, assenza di meraviglia, ebbrezza del vino, del cibo, della droga, del sesso, della velocità, quella pazza frenesia che si traduce in un non-vivere, uno spendersi male, uno sciupare un tempo che non torna più. Insomma, non ci accorgiamo di niente, viviamo come se non ci fosse nulla che debba accadere, nessuno che debba venire …

A un certo punto, in questo panorama così grigio e sordido, accade un fatto inaspettato: “Dio ha mandato suo Figlio a rivelare il disegno nascosto nei secoli”. “Rivelare” vuol dire “togliere il velo”. E che cos’è il tempo, se non il “velo” di Dio?

Io con le mie sole capacità non riesco a scorgere nulla della sfera divina, perché c’è di mezzo “il velo” degli accadimenti temporali. Certo, il tempo è anche il luogo dove l’opera di Dio prende consistenza, il tempo è ciò che rende possibile il popolarsi dello spazio, è il luogo dove troviamo un’infinità di creature uscite dalle sue mani. Però le creature possono anche fare da intralcio, da schermo. Anche lo scienziato brillante può ritrovarsi bloccato dalle formule deterministiche da lui stesso scoperte, oppure usarle come attrezzi per sfogliare la realtà, svelare la realtà.

          Anche a Messa, talvolta, c’è una sensazione di noia e ripetitività. Se una celebrazione è scadente, questo non dipende certo dalla liturgia, ma dalla sua impreparazione, dal tipo di partecipazione, dalla mia disposizione personale. Pensiamo al prete che deve correre da una Chiesa all’altra, saltare da un orario all’altro, o all’atteggiamento passivo o della persona abitudinaria, frettolosa e distratta, che vive un evento ad occhi aperti ma senza capirne un gran che. Pensiamo alla chiacchiera, a chi tiene d’occhio il cellulare o a chi si accanisce come un ruminante su di una stupida gomma da masticare sotto i denti. Io invece a Messa devo stare “più attento” a collegare la trama degli eventi quotidiani alla venuta (“avvento!”) del Regno! Non devo andare a Messa per un banale “mi piace”, “perché è tradizione”, o perché “è mio dovere” in caso di matrimoni o di funerali, ma vado a Messa per una ben solida ragione: per incontrare il Signore!

          Difatti l’ “acclamazione anamnetica” anticipa sulle labbra del popolo quanto il celebrante sta per dire nel seguito della preghiera eucaristica: “annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Questa acclamazione popolare, messa nel bel mezzo del “discorso orazionale” che il celebrante rivolge al Padre, non lo spezza, ma lo rafforza! Io che partecipo a questa liturgia, entrando in contatto col mistero pasquale di Cristo, affretto il suo ritorno. Se non faccio questo, Lui tornerà lo stesso, ma non per me.
Venne un giorno, “nella carne”. Viene oggi, “nello Spirito”. Verrà un giorno, nella gloria”. Non so, dunque veglio, senza disperare, senza abbandonarmi alla cieca e sordida sensualità bovina che si riassume nel celebre “carpe diem!”

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