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Razza di vipere! Commento alla seconda domenica di Avvento

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pregare

A cura di don Andrea De Vico
Anno A – II di Avvento (Mt 3 1 – 12)
“Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: Abbiamo Abramo per padre! Perché vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo”.

Giovanni non è molto delicato con gli avversari, usa un linguaggio diretto lì dove noi faremmo tre giri di parole politicamente corrette. Giovanni attacca i farisei perché, essendo discendenti di Abramo, si sentono sicuri della loro fede, pensano di far parte della religione giusta, e non avvertono il bisogno di cambiare, di convertirsi, come se il giudizio di Dio non li riguardasse.

Tanti cattolici, preti compresi, nutrono lo stesso atteggiamento. Stanno bene come stanno, non mettono niente in discussione, vanno a Messa tutte le domeniche, celebrano e pensano che se esiste un paradiso, se lo sono pure meritato. Vivono la religione per un bisogno di sicurezza, come una polizza contro gli infortuni. Fanno delle sceneggiate incredibili, se il Santo non dovesse passare sotto casa loro. Il loro senso di appartenenza garantisce la loro salvezza: siamo figli di Abramo; Siamo battezzati; Diciamo le preghiere; abbiamo San Gennaro, San Marcellino e la Concetta.  Per loro il Regno di Dio, se pure esistesse, non è un dono, ma un diritto.

È squallido tra l’altro constatare come talvolta questa gente di devozione e di Chiesa compia azioni deplorevoli, peggio degli altri. Quelli che non vanno a Messa ne approfittano, si mettono a una certa distanza, guardano la sfilata e collezionano dei punti a ulteriore conferma della loro bontà: io si che non faccio male a nessuno; non mi serve andare a Messa per essere onesto; io non sono come quelli che si battono il petto. Il loro senso etico, o senso civico, basterebbe a salvarli.

Un atteggiamento del genere può mai durare a lungo? Quando arriveranno le prove della vita, quando ci toglieranno l’8 x mille, quando verranno degli sconvolgimenti sociali e politici inauditi, guerre, calamità naturali, apostasie di massa, e tanti altri segnali dell’Apocalisse (fenomeni che del resto sono già in atto), che cosa andremo a dire? Che siamo figli di Abramo, andiamo a Messa tutte le domeniche, e siamo dei cittadini onesti? No, non è possibile scansare il giudizio, ci dobbiamo pensare adesso; è questo il momento di rivedere la nostra condotta, finché siamo in tempo.

Per questo Giovanni, annunciando Colui che sta per venire, chiede una conversione intima, un riconoscimento dei peccati, altrimenti non è possibile ritrovare la via e realizzare l’incontro. Il Regno è vicino, non si deve esitare, indugiare, perdere tempo. Il cambiamento è possibile, il peccato non ha l’ultima parola, le situazioni paralizzanti possono essere sciolte. Possiamo convertirci perché Dio per primo si è rivolto a noi, offrendoci perdono e riconciliazione. La conversione, più che iniziativa nostra, è azione della grazia.

Non devo dunque andare troppo sicuro delle mie pratiche, della mia religione domenicale o della mia onestà, alla maniera dei farisei. È vero che i sacramenti danno la grazia e la salvezza, ma se la disposizione del cuore è sbagliata, non servono perfettamente a niente. La prima cosa è la verità su me stesso: sono io per primo che devo essere una persona vera. Quel che appare fuori deve corrispondere a quel che sta dentro. Ci deve essere armonia tra quello che dico e quello che sono. Del resto, l’Eterno Padre è così grande da far sorgere dei figli del Regno persino dagli uomini dal cuore di pietra, offrendo la grazia della conversione a chi meno se l’aspetta!

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