di Andrea De Vico *
Quando cambia il Papa non è che “se ne faccia un altro”, ma cambia la Chiesa, ci sono delle svolte importanti nella vita della Chiesa. Il volto del Papa attuale è il volto della Chiesa attuale. Paolo VI ha mostrato il volto dialogico della Chiesa, l’ottimismo del Concilio. Giovanni Paolo I è stato una meteora, giusto il tempo di presentare il volto lieve di una Chiesa che sorride agli uomini e va loro incontro, spogliatasi di certe pesantezze. Giovanni Paolo II è stato un gigante che si è mosso in tutti gli angoli della terra, tracciando la strada del III millennio. Papa Benedetto è stato mandato dal Signore per rafforzare la fede necessaria per attraversarlo. Con Papa Francesco la Chiesa si riscopre in bilico tra le acquisizioni tradizionali e la necessità di stare accanto agli ultimi.
Così anche il Vescovo: non è che passa uno e ne viene un altro, ma è sempre lo stesso soggetto, la Diocesi, che mostra il suo volto particolare in un segmento di storia di un determinato territorio. Tutte le lettere che il Signore indirizza alle sette Chiese dell’Apocalisse hanno la medesima struttura: “apprezzo le tue qualità, ma ci sono dei punti in cui ti trovo mancante …” Lo stesso discorso vale anche per le Diocesi, le Parrocchie e i pastori che le hanno guidate.
Da un lato, i nostri preti meritano profonda riconoscenza, a partire dai più anziani che un giorno, seguendo la loro vocazione, diedero la vita alla Chiesa, onorandola con tenacia fino ai nostri giorni. Sono stati vicini alla gente, si sono calati nel destino dei loro parrocchiani, hanno provato tanta di quella affezione nei loro confronti da esserne emotivamente coinvolti persino nei sentimenti di odio o di rivalsa tra famiglie. In generale i preti sono stati e sono un punto di riferimento importante, incarnano il bisogno che la gente ha di una guida spirituale. Essi sono gli “uomini della presenza”, coloro che “c’erano” e che “ci sono” quando si sposano, nascono i figli, muore un genitore, o semplicemente per un consiglio o un confronto. Sono uomini che celebrano i sacramenti porgendo un annuncio, nei momenti lieti come in quelli tristi. Basterebbe questo per associarli a pieno titolo al “Testimone fedele” dell’Apocalisse. Ma per altri versi questi stessi preti sono stati trovati “manchevoli”, per dirla con san Giovanni.
In una prima fase, il Vescovo si è presentato come un cavaliere corazzato, fortemente determinato a ristabilire le priorità pastorali della Diocesi. Ha trovato Parrocchie che languivano in un circuito chiuso, decadente, dove ogni parroco procedeva a vista, arbitrariamente, alla men peggio, seguendo uno stile personale che non sempre puntava alla missione, ma si limitava ad accontentare le tradizionali esigenze di un popolo che si assottigliava sempre più: i cristiani che si fanno dire una Messa per le occasioni più importanti del loro calendario familiare.
Tra le cose normali che ogni Vescovo deve fare come ordinaria amministrazione c’è il trasferimento dei parroci in base a un criterio pastorale, questo rientra nei suoi compiti. Eppure, a cinquant’anni dal Concilio, le “ribellioni” che si sono verificate in certe nostre comunità per un normalissimo cambio di guardia sono un segnale che rivela quanto si era radicato un concetto maestoso del parroco, il suo “io” magnifico, paternalista e tuttofacente, e il conseguente grado di dipendenza e in-consapevolezza delle comunità. In certi casi il parroco stava lì da così tanto tempo che finiva per amministrare la Parrocchia come se fosse un bene di famiglia. Nelle cittadine più importanti, tra le poche cose degne di rilievo, il Vescovo ha trovato il fatto che queste Parrocchie abbiano agito più come fattore di divisione che di unità. Nelle parrocchie piccole, invece, la tentazione è stata quella di adagiarsi in una vita dal basso profilo apostolico, giovani preti che si adattavano ad una vita da baby-pensionati. Che se ne fa il mondo di una Chiesa simile?
Agli occhi di una buona parte dei parrocchiani, la figura del Vescovo era quella di uno che ogni tanto veniva in Parrocchia per fare cresime, la Diocesi non era adeguatamente conosciuta, tantomeno vissuta. Non è che i Vescovi precedenti non avessero messo mano a un processo di rinnovamento, lo avevano anche iniziato ma, condizionati per altri versi dal clero stesso, si rassegnarono a lasciare le cose come stavano. Ci voleva davvero un cavaliere corazzato che rompesse quel rimasuglio di mentalità feudale che portava i preti a trattare la Parrocchia come se fosse una cosa propria. Difatti il nostro Vescovo ha perseguito il suo obiettivo con tenacia, senza lasciarsi scalzare da nessuno, puntando a una “normalizzazione” della Diocesi.
Poi è iniziata una seconda dinamica, il periodo delle lamentazioni. Il Vescovo aveva preso atto del “valore” o della “spendibilità” dei suoi preti, e in varie occasioni non ha mancato di rimarcarlo, sollevando un certo mugugno tra il clero. Non è neppure un gran segreto quanto il Vescovo sia stato sensibile a una cattiva stampa. Qualche detrattore ne ha approfittato e ha scritto delle enormità su di un “media” che, senza saperlo, è entrato a pieno titolo nella storia della nostra piccola Diocesi, per l’attenzione con cui l’abbiamo gratificato. Nell’era digitale, la rete globale s’è fatta una pancia tale che rischia di scoppiare e implodere in sé stessa, vanificando i progressi della comunicazione. Infatti alla gente piace molto indignarsi ed esprimersi a partire dallo stomaco, ritenendo più credibili le informazioni viscerali che quelle date con la testa. Tuttavia anche questa dinamica si è rivelata provvidenziale: il Vescovo ha deposto gli strumenti del cavaliere corazzato e ha mostrato i nervi scoperti, il lato debole del suo essere uomo, e questo lo ha avvicinato di più ai suoi preti.
Bene, siamo pronti per la terza fase, la “pars construens”. Comincia la Visita Pastorale in tutte le Parrocchie della Diocesi, si protrae per tre anni; termina la Visita, ci prepariamo a convogliarne i risultati nel Sinodo Diocesano. Nel frattempo il Presbiterio, sollecitato del Vescovo, ha intensificato gli incontri, le riunioni, i ritiri, gli aggiornamenti, gli eventi, con un ritmo che talvolta ha anche indotto un senso di saturazione e di stanchezza. Evidentemente noi preti non siamo stati formati per il lavoro in comune. Trent’anni fa gli incontri erano scarni e minimali, e per giunta nella pausa caffè venivano disertati dalla metà dei partecipanti. Ora stiamo imparando a pensare e a lavorare insieme!
Tra le migliori acquisizioni attualmente in rodaggio, ci sono le nuove “Norme sull’Iniziazione Cristiana”. Avevamo constatato il fallimento dei catechismi e dei “corsi di cresima”, terminati i quali i ragazzi ci salutavano: dopo il rito, il vuoto; invece della conferma, l’abbandono, per cui ora stiamo cercando di passare dai “corsi” di cresima somministrato ai ragazzini, al “Catecumenato Crismale” da proporre ai giovani in età più matura, impostato in modo far conoscere e introdurre l’iniziando alla vita comunitaria. Non una ricetta, ma uno stile.
Siccome il primo impulso della vita di fede viene dalla famiglia, e buona parte dei genitori continuano a chiedere i sacramenti per i loro figli, il Vescovo ha chiesto alle Parrocchie di riunirli con una certa cadenza proponendo loro un “itinerario di formazione per i genitori dei bambini che ricevono l’Iniziazione”. Sono stati fatti molti sforzi per impostare questo lavoro. Tra quelli che rispondono all’invito, anche se pochi, usciranno i prossimi collaboratori parrocchiali, quelli che faranno il futuro della Parrocchia, che potrà conformarsi come “famiglia di famiglie”.
Ci sarebbero altre cose da dire, ma fermiamoci qui. Nei momenti critici, ai miei parrocchiani ho detto cose di questo tipo. L’azione pastorale del Vescovo, tutto sommato, sia pur con qualche comprensibile criticità, reca il segno positivo. La storia successiva non potrà che dargliene atto.
*Amministratore parrocchiale di Santa Maria Maggiore (Piedimonte Matese)