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La via della Bellezza. Commento al Vangelo nella festa dell’Immacolata

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Immacolata Concezione (Lc 1, 26-38)
A cura di don Andrea De Vico

“L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine … Entrando da lei, disse: ‘Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te’ ”.

La parola “grazia”, fin dall’antichità, reca due significati immediatamente percepibili. Primo: “favore divino” liberamente concesso e immeritato dall’uomo (anche nel linguaggio giuridico si dice che il capo dello stato in certi casi può concedere “grazia” a un condannato). Secondo: “bellezza”, delicatezza, spontaneità, leggiadria, gentilezza, cortesia, squisitezza, buona disposizione, benevolenza, amicizia… tutto ciò che è “gradito” ai sensi, “grato” all’animo. La bellezza è qualcosa di divino, di sacro, di intoccabile, e difatti il contrario della bellezza strappata, violata, esibita senza pudori per un basso interesse, non è “bruttezza”, ma “profanazione”. Chi vuole appropriarsi della bellezza, o la usa come mezzo di arrampicata social-televisiva, finisce per svilirla del tutto. E’ possibile godere della bellezza solo a una certa distanza, tenendola “riservata”.

Per Paolo VI ci sono tre attori sulla scena del mondo: la Verità, la Bontà e la Bellezza. Chi dei tre decide della sorte dei figli da Adamo? La Verità, poverina, con tutte le ragioni che ha da vendere, corre sempre il rischio di essere subordinata al regime corrente (teocratico o socialista, religioso o laico che sia). Si tratta del tentativo (per fortuna mai riuscito) di “imporre” una verità in funzione di un sistema, nella presunzione di possederla, quando in realtà è lei a possedere noi.

La Bontà, anche lei, corre il rischio di venire facilmente contraffatta quando alcuni, già messi male per sé stessi, pretendono di indicare ad altri quello che devono fare “per il loro bene”. Si può fare anche del male a una persona, “per il suo bene”, come quando si impone a un figlio di seguire la strada del padre, essendo in gioco una ben meschina convenienza familiare. Quanti delitti si fanno in nome della Bontà!

La Bellezza invece no, pare che nessuno abbia mai provato ad imporla, la Bellezza, perché essa si impone da sé. La Bellezza è lo “splendore” che si manifesta in un bel tramonto, in un bell’atto d’amore, in un bel gesto di perdono, per cui ci viene spontaneo esclamare: “che bello!” Perciò la Bellezza (l’Estetica) stacca e precede tanto la Verità (la Metafisica) quanto la Bontà (la Morale). Senza la Bellezza, la ricerca della verità scivola nel formalismo, e il senso morale della vita sfocia nel moralismo.

Anche gli assassini e i criminali sanno apprezzare un bel brano musicale, un quadro d’autore, esprimono tenerezza coi propri figli, che son sempre belli. Se è vero che “sarà la bellezza a salvare il mondo”, vuol dire che i malfattori possono convertirsi più in presenza della Bellezza, che non della Verità o della Bontà. La Verità la possiedono anche i dannati, perché essi l’hanno trovata nel posto dove se la sono cercata, e del quale non si può certo dire che sia tanto bello. Il paradiso invece è troppo bello per essere vero, per cui la Bellezza è destinata ai beati, a quelli che cercano la felicità nelle cose e nelle azioni belle.

Di fronte alla Bellezza, facciamo bene a mettere da parte i rigori della Metafisica, le austerità della Morale, e le sordide promesse della Sensualità. Tutti, santi o peccatori, viziosi o virtuosi, possiamo guardare a Colei che può far sì che la nostra anima ridiventi bella!

 

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