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La gioia dentro. Commento al Vangelo di domenica 11 dicembre, III di Avvento

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Il vangelo di questa domenica ci conduce da Giovanni Battista, nel buio della sua prigione, a toccare la profondità della sua tristezza.
Don Andrea De Vico, che da tempo cura questa rubrica, ci mette a disposizione due piste di riflessione: una sul racconto del Battista (clicca qui), l’altra sulla “gioia” di questa terza domenica di Avvento, di seguito.

bimba nel pratoA cura di don Andrea De Vico
Anno A – III di Avvento  (Mt 11, 2-11)

“Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa …”  (Is 35, 1)

La liturgia di oggi è un invito alla letizia, ma come facciamo a stare contenti in un mondo così difficile? Accendiamo il telegiornale, e vediamo che c’è poco da stare allegri. Giriamo canale, e troviamo gente che ride, balla e si diverte, ma il più delle volte si tratta di un’allegria finta, professionale. Tutto nella stessa scatoletta, tre al prezzo di due: notizie terribili, balli e risate.

Stando ai resoconti dei tanti esploratori dell’anima di cui è strapiena la letteratura, anche una ricerca equilibrata e lecita dei piaceri della vita sembra recare lo stesso magro risultato. Valga per tutti l’esperienza dell’intramontabile e tormentato Qoelet, il capomastro di tutti gli scontenti e i disillusi di questo mondo: “Io pensavo in cuor mio: su, gusta l’allegria e godi il piacere! Ma ecco, anche questo è vuoto. Al riso ho detto: follia! All’allegria: che cosa offri?” (Qo 2, 1-2). Il Qohelet ha cavalcato le distese fiorite del piacere, ma quando ha dovuto fare i conti con sé stesso, si è girato attorno e ha constatato amaramente che tutto quello che aveva costruito – lavoro, fatica, palazzi, giardini, schiavi, cantanti, pranzi, gioielli, denaro e donne – non sono altro che una manciata d’aria, una corsa verso il vento. “Ecco, tutto è vuoto e fame di vento” (Qo 2, 11).

La cantata della Nona Sinfonia di Beethoven, che nel 1972 il Consiglio d’Europa ha adottato come inno europeo, esprime un anelito di universale fratellanza e felicità. Solo che ai distratti estimatori dell’inno (il testo è di Schiller) è sfuggito un particolare importante: la gioia di cui si parla è riservata a pochi eletti, solo “a chi ha avuto in sorte una buona moglie o beve in compagnia degli amici”. E tutti gli altri? E io che sono scapolo e sono astemio, che cosa faccio, il passero solitario? Che strano: un testo così antidemocratico messo lì a rappresentare le moderne democrazie d’Europa. Tra l’altro, Beethoven è uno degli uomini più infelici della storia, in preda a una titanica infelicità. C’è anche chi esalta questa mancanza di soddisfazione come prova autentica e forza motrice del genio, ma francamente, per un uomo di sana e robusta costituzione, riesce difficile immaginare che si debba essere dei geni votati alla disperazione per musicare un inno alla gioia.

Neanche la Chiesa pare che stia messa meglio, come dice il proverbio: “un santo triste è un triste santo” (nel senso popolare di: insopportabile, cattivo, deplorabile). Ah, certi preti, e certi devoti che sfoderano il grugno lì dove ci vorrebbe un bel sorriso! San Paolo, dopo aver detto: “Rallegratevi sempre …” aggiunge: “La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini”. Affabilità significa saper ascoltare e rivolgere la parola con gentilezza e cordialità, sapere quando cedere e quando tener fermo. La persona infelice, al contrario, è amara, pignola, suscettibile, sospettosa, scontrosa, e sente il bisogno di portare il punto sempre e su tutto. Una Chiesa brutta (anti-estetica) non può permettersi di predicare la bontà (l’etica).

E’ bello assaporare le cose semplici, il contatto con la natura, il portare a termine il proprio lavoro, l’arte, la creatività, l’amicizia, la casa, l’amore, il veder crescere i propri figli, la salute ritrovata, persino una malattia sopportata bene! Per quanto tutto intorno ci possa essere buio, miseria e aridità, ci sono sempre nuovi germogli, nuove fioriture. “Coraggio”, dice Isaia. Anche se le condizioni mi sono avverse, io riprendo il mio cammino, e la mia fede è gioia che non si arrende neanche di fronte al passaggio obbligato di una sofferenza, una privazione, una calunnia, una cattiveria, una croce. La mia gioia è tutta qui, a pochi passi, alla mia portata, sotto i miei occhi, dentro di me, questa pazienza, questa durata, questo mio saper resistere!

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