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L’Emmanuele. Commento al Vangelo di domenica 18 dicembre. Anno A – IV di Avvento

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A cura di don Andrea De Vico
Anno A – IV di Avvento  (Mt 1, 18-24)

“Tutto questo è avvenuto perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta [Isaia]: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio, a lui sarà dato il nome di Emanuele», che significa «Dio con noi»”

Al tempo di Isaia, Israele era uno staterello stretto tra l’Assiria e l’Egitto. Siamo negli ultimi anni del Regno d’Israele, alla vigilia della terribile deportazione in Babilonia (722 a.c). Soffiano venti di guerra, ci sono eserciti stranieri che premono alle porte, il re Acaz si trova in difficoltà, medita una richiesta di aiuto internazionale. Su quale delle due potenze fare affidamento? La logica che divide gli uomini in due blocchi contrapposti è vecchia quanto il mondo: Oriente e Occidente, Mesopotamia ed Egitto, Eufrate e Nilo, Est ed Ovest, Russia e America, Nord e Sud, Settentrione e Meridione, il pianeta dei maschi contro quello delle femmine, Renzi e Berlusconi …

Isaia è contrario a qualsiasi tipo di alleanza: in ogni caso Israele resterebbe sottomesso allo straniero, che vi introdurrebbe delle leggi contrarie alla religione dei padri, causando una perdita d’identità. Questa posizione, più che su di un calcolo politico, si basa su una certezza di fede: Jahvè Dio resterà fedele alla casa di Davide, per cui non avremo bisogno d’altro! Siccome Acaz si ostina sulla sua idea di cercarsi un alleato forte, Isaia gli offre una prova imminente della volontà divina, giusto il tempo di portare a termine una gravidanza: “la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (“Dio con  noi”) (Is 7, 14). Sarà lui il nostro capo, e non tu.

Siccome stiamo a corte, è legittimo supporre che Isaia stia pensando a una principessa della casa reale. Se tu, re inetto e fiacco, ti sei dimostrato incapace nel sostenere la situazione, sappi che dopo di te verrà un altro che lo farà al posto tuo. Questo bambino infatti sarà chiamato “Dio-con-noi”, e avrà il compito di personificare l’unità nazionale, nel senso che né l’Assiria né l’Egitto, né la destra né la sinistra, ma “Dio” è con noi. L’appellativo di “Immanuèl”, prima di diventare nome proprio di persona, risuonerà sulla bocca del popolo d’Israele come un grido di guerra, un urlo da stadio, uno slogan per dire che noi non ci mettiamo con nessuno dei potenti della terra, ma siamo dalla “parte” di Dio. Viene a mente il maestoso e terribile “Allah Akbar” “Dio è grande” dei musulmani. Attenzione però a non fare di Dio un partito politico!

Le cose si svolgono diversamente da come le pensa Isaia. Il crudele dominatore assiro, ricevuta la sottomissione del debole re Acaz, spoglia quel che rimane del Regno d’Israele, poi entra in scena un quarto soggetto: Babilonia, che a sua volta assoggetta l’Assiria e distrugge il Tempio di Gerusalemme (587 a.c.), deportando la popolazione d’Israele. Il “segno” di Isaia, quello della “vergine” che doveva dare alla luce il simbolo della riscossa nazionale, non si realizza nei termini predetti, ma viene consegnato alla “Scrittura” e vi giace per settecento anni, finché Matteo non gli attribuisce il significato che è giunto fino a noi, per cui lo leggiamo ogni anno a Natale.

La mancata profezia di Isaia è una riprova che la storia non si compone di soli “fatti bruti”, ma c’è uno “spirito” che muove i fatti e ci abilita ai diversi livelli di comprensione degli stessi. L’odierno Vangelo di Matteo è un tipico caso di “Scrittura che spiega la Scrittura”: “tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta …” Isaia dice in un senso delle parole che Matteo vede avverarsi in un altro. O meglio: Matteo cerca il senso degli eventi attuali in una parola proferita nel passato. Avviene un po’ come nell’interpretazione dei sogni: il loro senso è chiaro solo a cose fatte. I sogni e le profezie sono dei “segni” che ci offrono un anticipo di comprensione, ci aiutano ad interpretare e ad accettare i fatti, una volta accaduti.

Per Matteo, la profezia di Isaia che rimette in moto la storia, quel famoso “Dio con noi” che doveva nascere dalla vergine, si realizza in una maniera imprevista, non nell’organizzazione di una campagna militare contro l’invasore, ma in una storia ordinaria di gente comune: “Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo. Sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe …” Questa antica profezia permette a Matteo, quindi a noi, di leggere quello … strano matrimonio che i Padri della Chiesa, imbevuti di cultura greca, chiameranno “ensárkosis” “incarnazione”: la “Parola di Dio”, che è spirituale, sposa la “carne che siamo noi”, fatta di materia e di terra.

Quella Parola che si veste della mia umanità mi offre anche la possibilità di realizzare il cammino inverso, perché la mia carne diventi Parola. Il fatto che Dio si faccia uomo e si vesta della mia umanità mi mette di fronte a un compito morale: vuol dire che anche io devo essere un “uomo che realizza l’umanità”, un “uomo che realizza la vocazione di uomo”, un “uomo di parola”, un “uomo vero”. Infatti un uomo che non è di parola non è un uomo, non è niente.

A partire da quell’evento straordinariamente comune di una nascita, anch’io, un po’ come la vergine di Isaia e molto più come la Vergine di Matteo, ho la possibilità di concepire il Verbo, di generarlo per via dello Spirito, di essere grembo di Dio che si incarna! Dio non lo trovo in chissà quale pianeta lontano o quale astruso concetto morale che mi sono kantianamente fatto di lui: Dio è dentro di me che realizzo la mia umanità, l’umanità nuova, l’umanità vera, l’umanità riuscita! Di fronte all’ “uomo nuovo” che sto cercando di diventare, i potenti della terra tremano e i partiti politici perdono colore. L’appellativo di “Emanuele” suona come una sfida, poiché esprime un’identità che trascende ogni tipo di appartenenza: non i potenti, meno che mai i partiti, ma “Dio” è con noi!

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