A cura di don Andrea De Vico
“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazareth, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide”
La Liturgia cristiana celebra un solo ed unico evento fondante: “la Resurrezione di Cristo”. Qui c’è tutto quel che viviamo, crediamo e in cui speriamo. Lui è risorto ed è risalito al Padre dicendo che sarebbe tornato, per cui la Liturgia ha sempre lo sguardo proteso in avanti, verso il tempo della sua venuta. Di conseguenza, l’Avvento che abbiamo appena vissuto, non consiste in una banale “preparazione” alla celebrazione del Natale. La Liturgia non aspetta il Natale del Signore, che già c’è stato, ma la sua venuta, che ci sarà. Tuttavia, in questo viaggio che si protende in avanti, la Liturgia sa anche offrirci uno sguardo retrospettivo: “quel Cristo che è risorto, e cui stiamo andando incontro nella gloria, quel giorno è veramente venuto nella carne!”
Seguendo il racconto di Luca, la sua nascita fa riferimento a un fatto avvenuto in un tempo e in un luogo ben preciso: quando il grande Imperatore Augusto ordinò il primo censimento, e un pover’uomo di nome Giuseppe si mosse da Nazareth a Betlemme per farsi registrare con la sua famiglia. A Roma Cesare Augusto gode di titoli divini, e tutti i sudditi sparsi per l’Impero sono obbligati a bruciare incenso alla sua statua. E’ un dio sulla terra, il suo Impero si estende a tutto il mondo, ma le statue non bastano. Per dispiegare il suo potere di controllo, Augusto ordina un’operazione senza precedenti: il censimento di tutti gli abitanti del mondo allora conosciuto. Si tratta di una dimostrazione di forza: la conta dei sudditi ha un impatto molto positivo sull’immagine del suo governo, per motivi sia fiscali che militari. Va da sé che quando il potere centrale conosce il tot numero e il domicilio degli abitanti di una determinata regione, le tasse sono più facili da riscuotere, e i militari possono ottimizzare gli arruolamenti e le campagne di guerra.
Dio invece non ha bisogno di contare i suoi fedeli. La sua potenza si manifesta nella nascita di un bambino. Il suo popolo non si misura con grandezze storiche, non ci sono pesi o statistiche che tengano, l’Apocalisse parla di “una moltitudine che nessuno poteva contare” (Ap 7, 9). Anche la forza della Chiesa, come della nostra piccola comunità, non sta nel numero dei suoi iscritti, o nei nomi della gente che importante che ama esibire fama, forza e prestigio. La Chiesa non deve schierarsi tra le forze attive e potenti dello spazio pubblico, e neanche deve fidarsi troppo dei numeri che potrebbe vantare. La Chiesa deve guardare alla “persona”, non alla “massa”, perché Dio guarda il cuore umano, sa quello che c’è nell’intimo, conosce la fede di ognuno. Non è importante mettersi a contare la gente viene a Messa o sfila nelle processioni. Meglio fare una cosa vera con cinquanta persone che sanno quello che fanno, che una parodia inutile con cinquecento persone che si muovono solo per mantenere una tradizione che non significa più niente.
Gesù è nato tra gli emarginati, gli scartati, in mezzo a gente che non desta interesse e che non conta nulla. E’ qui che si è rivelata la gloria divina, per cui ogni essere umano che nasce a questo mondo è importante almeno quanto un Imperatore. Così anche per me: io non sono stato chiamato a fare numero, o a far parte di una statistica. Lui è venuto a salvarmi perché io sono importante! La gloria di Dio è dentro di me, sono latore della sua immagine, e sono chiamato a un destino di comunione!