Ines Carlone di Raviscanina, nel 2014 inizia il suo cammino vocazionale nella Congregazione “Figlie di Maria Missionaria”. Dopo due anni di preparazione a Roma, nell’ottobre del 2016 parte per la sua prima missione in Africa. Oggi Ines si trova in Costa d’Avorio. Qui porta avanti la sua esperienza vocazionale, raccontata nella lettera che con molto piacere pubblichiamo.
Viva Gesù, Giuseppe e Maria!
Mi chiamo Ines Carlone, sono nata a Piedimonte Matese 35 anni fa, in una famiglia semplice ed onesta tra persone come tante: mio padre era un Sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri e mia madre una casalinga. Prima di due figli, ho sempre saputo che il mio dovere era studiare, così m’impegnavo tanto per prendere buoni voti. La mia infanzia è costellata di ricordi legati ai vari luoghi d’Italia dove mio padre prestava servizio e al rispetto di tradizioni come la Messa domenicale. Andare in chiesa significava pregare, seguendo i valori che i miei genitori mi hanno trasmesso. C’era una preghiera, in particolare, che mi colpiva per la solennità che evocava: il Credo.
Ricordo che il giorno della Prima Comunione rivelai a mia madre di voler diventare suora da grande. La risposta di mia madre fu che il mio fosse “solo un pensiero da bambina”.
Quel giorno, però, qualcosa era accaduto in me: credo di aver sentito allora la prima chiamata di Gesù. Lo ricevetti nell’eucarestia e immediatamente capii che non avevo bisogno di nulla più.
Quando arrivò il momento di intraprendere gli studi superiori scelsi la Ragioneria, convinta di poter trovare lavoro con più facilità, come tutti mi dicevano. Nel periodo delle superiori non riuscivo a trovare l’amicizia giusta, tutto mi sembrava limitato e spesso mi ritrovavo in lacrime; la stessa difficoltà la provavo nell’incontrare il vero amore. Pregavo costantemente Dio Padre, perché mi desse la risposta che cercavo e m’indicasse la strada guista. Nel 2009 mi laureai in Economia e Commercio, ma tuttavia l’inquietudine non mi dava tregua, fino al 20136, quando, a seguito di un’operazione piuttosto complicata, mi resi conto della futilità delle cose e di come la vita possa in un attimo sfuggirci dalle mani. Ripensai a ciò che avevo detto alle parole dette a mia madre a 8 anni, e a quel punto mi rimisi in preghiera, chiedendo a Dio quale fosse il suo progetto su di me. Proprio allora, quando ero più lontana che mai dalla Chiesa, riuscii a cogliere il senso della mia vita. Così, insieme a mio padre, il quale mi invitò a riflettere sui sacrifici a cui sarei andata incontro se fossi diventata suora, cominciai a fare ricerche sui possibili conventi e congregazioni a cui mi sarei potuta rivolgere. Tra tutte quelle trovate, mi colpì “Figlie di Maria Missionarie”, dove nel 2014 iniziai il mio cammino vocazionale. A chi mi chiedeva perché proprio una congregazione missionaria, rispondevo con le parole del fondatore, Venerabile Padre Giacinto Bianchi “Siate Maria nel Mondo”. Due anni di formazione a Roma e poi, il 14 ottobre 2016, la partenza alla volta dell’Africa. Oggi mi trovo in Costa D’Avorio, ad Abidjan, dove ho conosciuto culture e modi di vivere totalmente diversi dai nostri. Qui si parla il Francese. La prima cosa che mi ha colpito è la solarità naturale di queste persone, la loro capacità di vivere con poco ma sempre con gioia. Nonostante la povertà e il clima di guerriglia, queste popolazioni riescono ad allietare le loro giornate sempre, a differenza di quanto vogliono farci credere i mass media.
La stessa liturgia delle funzioni religiose è coinvolgente e vissuta con allegria da tutti, uniti nell’amore di Dio. Attualmente mi occupo del recupero di persone che vivono in totale povertà, in particolar modo cerco di aiutare i bambini e non vi nascondo che a volte cerchiamo noi stessi di fare a meno del cibo per poterli sfamare. Cerco inoltre di portare la Parola di Dio a questi nostri fratelli, facendoli avvicinare a Dio con l’evangelizzaziondi. Per le loro madri si cerca di creare dei laboratori di cucito, in cui poter imparare una professione e la loro risposta è entusiastica. Le donne riescono a creare cose bellissime, la loro attività è innanzitutto una passione. È vero che nei luoghi più estremi dell’Africa ci si può imbattere in situazioni davvero tristi, e ne ho viste tante, in cui sussistono difficoltà di nutrizione, stent; eppure in essi il sorriso e la voglia di vivere non muoiono mai. Basta osservare alcuni piccoli abitacoli per rendersi conto delle misere condizioni in cui si trovano, condizioni che tuttavia non li scoraggiano.
Ecco cosa significa essere missionaria: portare il volto di nostro Signore a queste persone costrette in condizioni estreme e a dir poco indecenti, come non meriterebbe un figlio di Dio; cercare di aiutarle, così come facciamo ogni giorno, pur disponendo di mezzi insufficienti. Ci sarebbe bisogno di cibi, vestiti, medicinali e tutto ciò che nella nostra società occidentale appare superfluo. La vita spirituale che sto vivendo attualmente richiede un discernimento notevole, ma la consapevolezza che forse si può fare qualcosa di concreto per queste persone ti spinge ad andare avanti e a cercare la maturità spirituale necessaria in primis a conoscere se stesso, perché per amare gli altri nel volto del Signore bisogna prima cominciare ad amarsi. Resto in comunione di preghiera, affinché si compia sempre la Volontà di Dio nella speranza di rivederci presto, magari, perché no, proprio qui in Africa.
Con affetto,
Ines Carlone