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Il male del prete leader. “Da Giovanni a Gesù” nel commento al vangelo di domenica 14 gennaio

Commento al vangelo Anno A - II per Annum (Gv 1, 29-34)

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A cura di don Andrea De Vico
Anno A – II per Annum (Gv 1, 29-34)

“Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: ‘Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me’ ”

Il giorno precedente a questo passo, leviti e sacerdoti interrogavano Giovanni se non fosse lui il Cristo. Egli negava e non negava, esitava nel fornire una risposta, confessava di essere una semplice “voce di uno che grida” (Gv 1, 23). Sembra una semplice dichiarazione di umiltà, ma vi si scorge anche la fatica del profeta nel definire la sua missione. Il giorno seguente, oggi, trovandosi Gesù a passare nuovamente, Giovanni fissa lo sguardo su di lui e dice: “Ecco l’agnello di Dio”. Due dei discepoli del Battista (uno era Andrea) si staccano da lui e cominciano a seguire Gesù, che non li respinge, anzi li invita a casa sua: “Maestro, dove dimori?” “Venite e vedrete” (Gv 1, 37-39). Giovanni li lascia andare: non è “geloso” dei discepoli.

Più avanti, Giovanni manderà una delegazione per chiedere a Gesù: “sei tu colui che viene o dobbiamo aspettarne un altro?” (Lc 7, 20). Anche qui si avverte una certa difficoltà: il Battista lo ha visto e ha testimoniato, ma ora sembra dubitare di lui. Su tale argomento – chi fosse il Messia – ci fu una discussione tra i discepoli di Giovanni e quelli di Gesù, ma Giovanni ribadisce la sua “testimonianza”: “Egli deve crescere e io diminuire” (Gv 3, 30). Qui i commentatori parlano di una certa difficoltà, nel passaggio da una comunità “giovannea” a una “cristiana”.

Anche nelle nostre comunità sperimentiamo delle difficoltà simili. Quando si formano i gruppi, le associazioni e le congregazioni, c’è sempre una “fase giovannea”, incentrata sulla personalità del leader, e c’è una “fase cristiana”, quando il gruppo giunge a maturazione (se matura) come gruppo ecclesiale. Finché il capo carismatico detiene la leadership, richiamando l’attenzione degli altri, il gruppo non matura in senso ecclesiale. Questo si ripete anche in parrocchia: ci sono dei gruppi che si aggregano intorno alla figura di un capo carismatico, lo seguono in trasferta, fanno assemblea attorno a lui, si aspettano qualcosa dalla predicazione del suo verbo salvifico, ma questo ancora non è un gruppo ecclesiale. Quando poi le persone cominciano a guardare al Signore, come i discepoli del Battista, il gruppo comincia a identificarsi ecclesialmente.

Tutto questo non è facile, non è scontato, non è automatico. Difatti Giovanni il Battista, all’inizio, “non conosceva” Gesù nella sua identità di Messia, ma l’ascolto della Parola ha reso il suo sguardo vigile. Questo suo atteggiamento di ascolto (ob-audire, obbedienza) lo ha abilitato a una visione dello Spirito. Lo abbiamo visto domenica scorsa al Giordano: Giovanni “sente” la voce del Padre e “vede” lo Spirito sotto forma di colomba. Così Giovanni ha potuto dare un volto alla speranza messianica, educando i suoi uditori a riconoscere il Messia nella persona di Gesù, anche se in un secondo momento ha dubitato di lui, per il fatto che le azioni di Gesù non corrispondevano alle sue aspettative (Giovanni voleva un Messia a cavallo con la spada e coi segni del potere).

Allo stesso modo, noi non possiamo dire di “conoscere” il Signore una volta per sempre. A volte le persone, con una sconfinata leggerezza che rasenta la colpevole presunzione, se ne escono con espressioni del tipo: “Io ci credo a Gesù Cristo!” Certo, è facile “credere” al Gesù dei quadri, bello, biondo, circonfuso di luce, il Signore delle signore, ma la fede richiede tutt’altro atteggiamento: ascolto, attenzione, vigilanza, obbedienza. E quando hai fatto tutto quello che dovevi fare, come Giovanni Battista, neanche puoi esserne totalmente certo, perché questo margine di insicurezza è funzionale al tuo cammino di fede.

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