A cura di don Andrea De Vico
“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde sapore, con che cosa lo si renderà salato? Voi siete la luce del mondo … così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”
Sale e luce. I paragoni che Gesù fa sono limpidi. La parola “sale” ha originato “sapientia”: dire “sale” e dire “sapienza” è lo stesso. La sapienza è il gusto delle cose. Basta un piccolo grano di sale sulla lingua a far vibrare tutto il corpo; basta una piccola scoperta che la mente si apre alla meraviglia: “ho capito!” “ho trovato!” Il sale ha un potere terapeutico: conserva, preserva, disinfetta, uccide i microbi, purifica e rimargina le ferite.
Il sale, oltre ad essere la metafora della sapienza e della salute, è anche la metafora della comunicazione. Di una persona noiosa e poco interessante si dice che è “scialba”, di poco sale. Quando stiamo a tavola in famiglia, il sale serve ad avviare la conversazione: “come sa di sale? Ho messo abbastanza sale? Ho misurato bene il sale?” Quel piatto è stato preparato mille volte, eppure, puntualmente, la mamma chiede se ha dosato bene il sale. Difatti nella preparazione di un pasto non esiste una misura standard. Sarebbe da sciocchi affidare a una macchinetta computerizzata la giusta misura giornaliera del sale. Si tratta di una misura personale, non è mai uguale, e il piatto di oggi può uscire meglio di quello di ieri. Ad ogni giorno la sua misura di sale.
Il sale funge anche da indicatore per gli equilibri geopolitici. Il primo segno della crisi mondiale che ha innescato la seconda guerra mondiale è stato la mancanza di sale, o meglio, un aumento del prezzo del sale. Allora, nel Friuli, una mamma pregava: “O Signore, è cresciuto il prezzo del sale, non siamo in grado di comperare il sale, come faremo senza sale?”
Il sale è prezioso, ma ne basta un pizzico; per fare effetto, deve sciogliersi, annullare sé stesso. In questo passo, Gesù dice ai discepoli: “Voi siete il sale” “voi dovete scomparire, dovete confondervi, dovete sciogliervi nella massa, darle sapore, altrimenti non siete buoni a nulla”. Poi pare che dica il contrario: “Voi siete la luce!” “voi dovete splendere, dovete emergere, essere visibili, essere trasmettitori di luce, dare gloria a Dio”.
Con le metafore del sale e della luce Gesù ci fa due richieste: “Siate dentro le cose, per dare sapore alle cose” “siate al di sopra delle cose, per rendere visibile il Regno di Dio”. Noi invece sembra che ci facciamo altri problemi. Ci meravigliamo per la gente che non viene a Messa o dei giovani che si perdono appresso alle mode. Ci siamo chiesti, noi che ci siamo, noi che frequentiamo, noi che partecipiamo, noi che pensiamo di essere al sicuro, noi che diciamo di fare le iniziative giuste, ci siamo visti allo specchio? E’ saporito il nostro sale? Sono luminose le nostre azioni? Se lo fossero, gli altri vi si assocerebbero più volentieri, o no?
Le nostre opere devono brillare davanti agli uomini non perché dobbiamo avere un successo umano o ricevere dei riconoscimenti, ma per fare la gloria del Padre! Essere luce è una responsabilità. La chiamata alla fede è una chiamata a sprigionare la luce. Non luce propria, perché nessuno può generarla da sé, ma una luce riflessa, perché accolta dall’alto. Nelle cose che facciamo, mai mettere in evidenza sé stessi, ma la gloria di Dio! Il sale può divenire insipido, la luce offuscarsi! Non sono possessi garantiti. Nulla è scontato nel cammino di fede.