A cura di don Andrea De Vico
Anno A – III di Quaresima (Gv 4, 5-92)
“Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua”
Oggi assistiamo ad un incontro che lascia stupefatti. Gesù si intrattiene con una donna dai cinque “mariti” (quello attuale neanche è suo marito!) e le fa una confidenza di capitale importanza. Quella donna (priva di diritti in una società maschilista), samaritana (di razza odiata dai giudei e ritenuta bastarda), e alla sesta convivenza con un uomo (quindi una “poco di buono”), riceve una rivelazione di altissima teologia! Nel dialogo che incalza, prendendo spunto dal bisogno elementare dell’acqua e della sete, Gesù conduce la donna al riconoscimento del desiderio umano, l’anima della nostra anima!
Se proviamo a sbirciare qualche lavoro di psicoanalisi, troviamo espressioni di questo tipo: “il desiderio dell’uomo è senza oggetto” “noi non decidiamo il nostro desiderio” “noi non possiamo padroneggiare il nostro desiderio” “noi non decidiamo, noi siamo decisi dal nostro desiderio, il desiderio porta con sé una serie di inganni, illusioni …” Con tutti questi studi e tutte queste analisi, il risultato è piuttosto magro e sconfortante: non esiste nulla che soddisfi il desiderio dell’uomo, o la sua “sete”, come dice il salmista che come la cerva anela ai corsi d’acqua. Per Gesù invece qualcosa che nutra e soddisfi il desiderio c’è, esiste. Lui la chiama “acqua viva”, i teologi la chiameranno “grazia”, e i mistici “dono divino”. San Tommaso dirà: “desiderium naturale non potesse esse inane” “il desiderio naturale non può rimanere appeso e sé stesso, senza oggetto”.
L’incontro con la samaritana è casuale, in una cornice di normale quotidianità. In questo pomeriggio assolato si incrociano due bisogni elementari: Gesù stanco che si ferma a rinfrescarsi, e la donna che viene ad attingere acqua, come fa tutti i giorni. Si avvicinano, si guardano, Lui le rivolge la parola, destando la meraviglia di lei. Non ordina, ma si presenta come uno che ha bisogno. Chiedere un favore è un modo per esprimere simpatia verso una persona.
La reazione della donna è incoerente, non gli risponde “si o no”, ma “ni”: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?» Non si sarebbe mai aspettata che un “giudeo” le rivolgesse la parola, vuole capire che razza di uomo si trova di fronte, vuole trattenerlo in una conversazione banale, vuole iniziare un gioco di ammiccamenti. Questa donna non è certo il tipo con cui mettersi a fare dei discorsi importanti. Ma lui la blocca, richiamandola dal profondo. Esiste un’acqua talmente buona da estinguere ogni sete: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: dammi da bere, tu stessa me lo avresti domandato ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva». Lei non capisce, o fa finta di non capire: “tu sei così sprovveduto da chiedere acqua a me, e poi dici di avere un’acqua tutta speciale?”
Questo sconosciuto che potrebbe incrementare la lista dei suoi amanti, le offre una proposta più interessante, una possibilità inaudita: «Dammi di quest’acqua, perché io non abbia più sete». La donna non riesce a guardare oltre le sue necessità feriali, intravede solo l’allettante possibilità di evitare la fatica fisica di venire al pozzo. Per lei l’acqua del pozzo è acqua e basta, mentre Gesù sta pensando a un’altra acqua capace di estinguere il bisogno, colmare il desiderio. Nei nostri bisogni terreni più immediati e superficiali si nasconde un bisogno più profondo, che noi facciamo fatica a riconoscere. Questi “due tipi di acqua” rappresentano due modi di concepire la vita, due orizzonti diversi. Uno superficiale, carnale, freudiano, l’altro più profondo: la dimensione del dono. La psicoanalisi non è profonda, è naturalistica.
L’uomo carnale è mosso da passioni che lo fanno ansimare senza sosta da un pozzo all’altro, alla perenne ricerca di qualcosa che dia soddisfazione, e invece mai niente, sempre e di nuovo sete! L’insufficienza delle cose! Mangiamo e abbiamo di nuovo fame, beviamo e abbiamo di nuovo sete. La donna ha cercato inutilmente di colmare questo vuoto. Cinque mariti e il compagno attuale non le sono bastati. Acqua morta. Gesù segue una strategia: chiede, per portare la donna a chiedere. Difatti l’atteggiamento della donna è cambiato, i ruoli si sono invertiti: ora è lei a chiedere quest’acqua così speciale. Certo, non ha capito ancora, è ferma ai vecchi schemi, all’acqua del pozzo che fisicamente è venuta ad attingere. Non immagina che possa esserci un’altra sete e un’altra acqua che la soddisfi. Confonde i desideri superficiali con quelli profondi. Crede che oltre questa sete fisica non ci sia null’altro.
Gesù la scuote, mettendola sul personale: «Và a chiamare tuo marito e ritorna qui». Immaginiamo la reazione piccata della donna. Pensava di conoscere gli uomini, aveva fatto l’occhiolino anche a questo sconosciuto, e lui che dice? «Presentami tuo marito?» Ma che razza di uomo è, uno che vuol vedere mio marito? Che c’entra mio marito? Normalmente una donna chiama il marito quando viene infastidita da un uomo, non quando lo adesca. Lei ribadisce la sua disponibilità: «Io non ho marito» E Lui: «Hai detto bene … Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito!» La donna rimane di sasso: com’è che questo sa i fatti miei? Che non sia un profeta di Dio?
Punta sul vivo, volendo evitare di approfondire l’argomento (non le conviene), devia nuovamente il discorso e tira in ballo una vecchia ruggine tra giudei e samaritani: “vedo che sei un profeta … toglimi una curiosità … voi dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare … per noi Samaritani va bene anche qui, sul monte Garizim”. Gesù non si lascia irretire nel dilemma. Per Lui il culto di Dio non deve schierare un popolo contro un altro, una confessione contro un’altra, una razza contro un’altra. «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità… Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». La questione del luogo è superata. E’ in arrivo qualcosa di tremendamente nuovo, la più alta rivelazione del quarto Vangelo. Dio non abita in un Tempio, su di un alto monte, in una sacra foresta o sotto un albero sacro. Dio si sta cercando un altro tipo di fedeli che lo adorino “in spirito e verità”, in tutta coscienza, diremmo noi.
Sono passati duemila anni e questo ancora non lo abbiamo capito. Osserviamo le tradizioni ed è bene, però abbiamo la tentazione di chiudere Dio nel cerchio dei nostri bisogni. La religione tradizionale tende a circoscrivere il senso del divino nell’ambito delle cose già fatte, già viste, ripetute, risapute. L’importante è fare le cose nello stesso ordine con cui sono state fatte da sempre.
Gesù ha detto queste cose a una donna alla sesta convivenza con un uomo, in un contesto di sincretismo religioso. Segno che il dono della Grazia va presentato a tutti. Gesù ha preso quella donna lì dove si trovava, limitata dalle sue stesse attese, prigioniera dei pregiudizi della sua gente, suscitando in lei il riconoscimento dei bisogni più profondi, senza imporsi e senza imporre. Gli è bastata una sola seduta, per dare un nuovo orientamento al suo desiderio. La donna, sbalordita, interrompe la conversazione e, senza neanche salutare, lasciando la brocca lì per terra, corre a dirlo ai paesani. L’acqua giornaliera di quel pozzo, quella per cui era venuta, è passata in second’ordine! La brocca abbandonata rappresenta tutte le nostre importantissime preoccupazioni di prima: di fronte a questa inaudita novità, non sono più niente!