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Adesso ci vedo! Commento al vangelo della IV domenica di Quaresima, quella del ‘cieco nato’

Commento al Vangelo nella IV domenica di Quaresima. Continua l'appuntamento con la rubrica di don Andrea De Vico, "I sentieri della Parola"

1985
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A cura di don Andrea De Vico
Anno A – IV di Quaresima (Gv 9, 1-41)

In quel tempo, Gesù passando vide un cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogavano: ‘Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?’ Rispose Gesù: ‘Né lui né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio’ ”

Incontrando un cieco nato, i discepoli chiedono a Gesù di chi sia la “colpa” del suo male, se lui o i suoi genitori. A quel tempo c’era un assioma teologico che vedeva una relazione diretta tra malattia e peccato. Se uno è malato, è segno che ha peccato, quindi Dio lo punisce. Anche oggi esiste qualcosa di simile: le persone “sane”, di fronte a un portatore di handicap, provano un disagio, una sorta di “paura” che quel male potrebbe toccare anche loro. Il problema dei “sani” è quello di esorcizzare questo pensiero. Siccome non esiste una spiegazione razionale del male, i “sani” elaborano un meccanismo di difesa: vedono la malattia come una specie di punizione divina che pensano di scansare con una dichiarazione di buona condotta: io non ho fatto niente di male, dunque Dio – o chi per lui – mi deve mantenere in buona salute.

Si tratta di un discutibile senso di giustizia. Le persone che la pensano in questo modo si riconoscono subito. Quando vedono il male negli altri, pensano che gli sta bene, se la sono cercata, se la sono meritata, sono capaci persino di goderne. Quando invece sono toccati personalmente, si meravigliano di essere trattati male dal Padreterno, con tutte le preghiere, le tradizioni, le devozioni, le offerte e i monumenti che hanno elevato alla sua maestà.

Gesù, incontrando il cieco nato, non solo evita di attribuire la disgrazia a una punizione divina, ma vede nella malattia il manifestarsi dell’azione salvifica di Dio. Possibile? Veramente Dio agisce positivamente, nel male come nella malattia? Gesù incontra il cieco nell’imminenza della sua passione, e compie il gesto della guarigione per accreditare quel che sta per avvenire: “bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno …” Praticamente, ai discepoli che pongono la domanda, Gesù non offre la risposta che si aspettano, ma indica un cammino, quello di Gerusalemme. Di fronte al male, lui non ha spiegazioni da dare, non indaga chi siano i “responsabili” della malattia. Tutte le risposte che gli uomini danno a questo problema sono false risposte. Lui non è venuto a dare una risposta al problema della sofferenza, ma mostra ai discepoli come affrontarla, quale direzione prendere, non la devono evitare, fa parte del loro cammino, la devono assumere, attraversare.

Un dolore che salva: chi l’avrebbe mai detto? In effetti anche la nostra epoca non ha le attrezzature mentali per valutare la realtà della sofferenza. Il nostro tempo respinge ogni considerazione salvifica o pedagogica della sofferenza, legittimando l’eutanasia o il suicidio assistito come ultimo barlume possibile per la dignità umana. Dolce morte, o mancata solidarietà?

In questo Vangelo del cieco nato c’è anche il ruolo dei genitori. Normalmente i genitori fanno cose meravigliose per i figli malati. Piccoli esseri umani che nascono in situazioni di deficit. I genitori li amano più del doppio, non li lasciano mai soli, non nascondono il male, li portano all’aria aperta, li fanno socializzare. Ma i genitori del cieco nato, vedendo il figlio guarito, non si direbbe che facciano salti di gioia. Hanno paura dell’autorità, evitano di rispondere alle domande, è evidente che per loro viene a mancare un’importante fonte di introito. Quel figlio sfortunato sedeva a mendicare. Ci sono dei casi in cui i genitori stessi “normalizzano” la malattia e ci marciano sopra. La malattia di un figlio diventa una bandiera, uno strumento per accampare più pretesti che diritti. Se vengono scoperti, devono risarcire.

E noi, cosa vediamo nella sofferenza dell’altro? E’ uno sguardo colpevolizzante, il nostro, di paura, o di solidarietà? O siamo solo curiosi di sapere “perché” accadono certe cose, per evitare di esserne implicati? Chi è cieco, e chi non lo è? Vuoi vedere che i ciechi siamo proprio noi, per i nostri atteggiamenti, i nostri rifiuti di capire, di scegliere, di cambiare? Le situazioni si sono ribaltate. Il cieco prima non ci vedeva, ma adesso ci vede. I farisei credevano di vedere, ma la loro presunzione li ha accecati. La vera cecità è di tipo interiore ed è imputabile perché non accettano, presumono di vedere: “noi vediamo!” Più che in un miracolo, l’episodio del cieco nato si risolve in un paradosso: Gesù apre gli occhi di chi è ben disposto, ma li chiude a chi si rifiuta di credere! Nel Vangelo di Giovanni il peccato dei peccati è l’incredulità, opzione lucida, cosciente, responsabile, il rifiuto definitivo, escatologico, formulato una volta per sempre.

Giovanni scrive il suo Vangelo alla fine del primo secolo. In questo scontro tra Gesù e i farisei, si intravede in filigrana la polemica tra la primitiva comunità cristiana e la Sinagoga degli anni ’90. C’era un clima di intimidazione da parte delle autorità: “… i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla Sinagoga”. Si tratta di un atto disciplinare degli anni ’90, retrodatato da Giovanni e attribuito ai giudei del tempo di Gesù. Le due situazioni, quella di Gesù e quella della primitiva comunità perseguitata, si rispecchiano l’una nell’altra. Il cieco guarito viene coinvolto nello stresso rifiuto del Maestro.

Nella mente narrante di Giovanni, il cieco guarito è prototipo del discepolo fedele che, in ogni tempo e in ogni luogo, viene coinvolto dallo stesso rifiuto del Maestro. Chi segue il Cristo non lascia gli altri indifferenti, solleva sempre intorno a sé interrogativi, critiche e derisioni. Chi si converte a Cristo, come il cieco guarito, non è più riconosciuto dalla sua gente, dagli amici e dai familiari, che gli diventano estranei. Prima era cieco, ma adesso ci vede!

 

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