A cura di don Andrea De Vico
Anno A – Domenica delle Palme (Mt 26, 14 – 27, 66)
“ ‘Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato il Cristo?’ [Pilato] sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia”.
Nel dramma della Passione c’è gente che applaude, gente che urla, sacerdoti che condannano, politici che si lavano le mani, un discepolo che rinnega e scoppia in pianto, un altro che tradisce e s’impicca … Religione e politica fanno da sfondo. I sacerdoti fanno uccidere un predicatore laico, senza immaginare che da questa azione nascerà un Sacerdozio nuovo, una Mediazione nuova tra Dio e l’uomo, fondata non più sull’offerta di cose o animali, ma sul dono di sé: atti, esistenza e persona. Tutto inizia col clamore entusiastico di una folla che accoglie Gesù come un re che prende possesso della sua città, disarmato e benedicente, in groppa a un’asinella, circondato da bimbi e da donne festanti. Nulla di organizzato, un trionfo spontaneo, una modesta solennità, passanti che stendono mantelli, ragazzi che tagliano rami e li scuotono con fragore. Un re senza corona, senza reggia, senza corte, senza soldati, senza conquiste che non siano quelle della sua parola. Un evento così assomiglia più a un fenomeno folcloristico che a una minaccia politica reale.
Eppure i capi e i notabili della città si innervosiscono: “chi è questo qui?” “è Gesù, il profeta di Nazareth!” I vecchi avversari si mobilitano per chiudere i conti prima di Pasqua. Organizzano il tradimento, la consegna, il reclutamento dei falsi testimoni, la pressione sull’opinione pubblica. Difatti quelli che prima avevano detto “osanna” ora cominciano ad urlare: “crocifiggilo!” Eppure si tratta dello stesso popolo, stessa gente, stessa piazza! Nel giro di poche ore, la folla passa da un tifo da stadio a una rabbiosa ostilità. Pilato, vedendo il tumulto, da esperto politico qual era, capisce che quel tizio è innocente, che il popolo è stato ubriacato. Tuttavia, per placare gli animi, offre un’alternativa: o Barabba, o Gesù.
Si tratta del primo grande “referendum” della storia. Il pubblico potere, per risolvere un caso che scotta, si rimette al giudizio popolare, col risultato che sappiamo: viene giustiziato un innocente! Si dice che il popolo è sovrano, e in linea di principio sarà anche vero, ma quando il popolo viene ubriacato, sceglie sempre la parte peggiore. La folla anonima è come una gestante che, avendo sposato un’idea o una suggestione perversa, incuba il mostro e lo partorisce perché divori la vita degli uomini migliori.
Non è detto che sia la democrazia a governare, perché la democrazia è solo uno strumento, è perfettibile, ma è anche manipolabile. Non è detto che la ragione stia necessariamente dalla parte della maggioranza. La convenzione del cinquanta per cento più uno non garantisce né la giustizia tra le persone né la bontà dei risultati. Ci possono essere dei momenti in cui io e Dio, da soli, facciamo maggioranza assoluta, checché ne dicano tutti quanti gli altri messi assieme. I Pilati dei nostri giorni, per far passare una legge scellerata, ubriacano la pubblica opinione e offrono alternative di questo tipo: cosa volete salvare, la Chiesa o la sala bingo? Quanta gente sbaglia risposta! E’ il trionfo della mente ottusa sulla mente aperta. Il popolo di per sé “non sa”, deve essere informato, formato, responsabilizzato, come si fa con le persone. Mai fidarsi di quelli che urlano e mettono agitazione. Potremmo anche organizzare una “democrazia referendaria integrale”, facendo in modo che il popolo si autogoverni quotidianamente, basta installare un’applicazione in ogni dispositivo, dando alla gente la possibilità di rispondere si o no a tutte le questioni nazionali. Dal punto di vista tecnologico la cosa è fattibile, ma la si deve fare?