In questi giorni prossimi alla Santa Pasqua ci inoltriamo nel mistero della morte e della Resurrezione di Cristo, ma prima ancora ci inoltriamo ogni anno nella dolorosa strada del calvario della passione.
Tutto comincia però qualche ora prima, cioè dalla sera del giovedì santo, quando si contempla l’angoscia del Cristo che lontano dagli apostoli, genuflesso in preghiera, si abbassa alla volontà del Padre, alla lacerante volontà. Il cammino della Passione ci introduce all’apice dell’umanizzazione del Cristo, che più delle altre volte lo avvicina a tutti noi, ai nostri limiti, alle nostre angosce, alle nostre paure. In Gesù traspare quanto mai la vicinanza ad ogni uomo nel contatto con la sofferenza per arrivare allo “scandalum crucis”, lì dove il dolore può raggiungere il suo apice e portare all’inspiegabile fine del corpo.
Quella che, come psicologo, sento avvicina Gesù agli uomini e alle donne comuni è il contatto con il trauma della fine dell’amore. Gesù che ha tanto amato i suoi fratelli, che ha tanto accolto i bisognosi, i poveri, i derelitti, ma anche moltitudini di persone del “suo” popolo, si trova ad un certo punto lasciato solo. Così come per noi la fine di un amore è un fantasma che ci fa paura e che non vorremmo avvenisse mai anche quando ne abbiamo sentore, ma se DEVE succedere nulla può frenarlo. Ma una cosa è sapere che tutto può finire, un’altra cosa è pungersi con il TRAUMA della fine di un amore. E Gesù sa in cuor suo di dover morire, sa di doversi sacrificare, accetta la volontà del Padre (“allontana da me questo calice, non come voglio io ma come vuoi tu!”), ma nel momento dell’arresto da parte dei soldati giudei ricevendo la prima percossa ecco che il dolore, la delusione, l’amarezza, il trauma della fine prende forma. E Gesù realizza che da quel momento tutto è finito, tutto va verso il suo compimento (molto bravo è stato Mel Gibson nel film capolavoro “The Passion” a metterlo visualmente in evidenza).
La sua umanizzazione sta nel fatto che soffre e piange come uno di noi, nella flagellazione accetta umilmente le umiliazioni del corpo ma inevitabilmente sanguina come uno di noi. E l’amore finisce, e quando l’amore finisce sopraggiunge inizialmente l’angoscia della morte lì dove le nostre urla di dolore sono inascoltate da colui che ci ha abbandonato. Ecco la solitudine, la disperazione, l’amarezza, l’offesa, il vuoto incolmabile. Inizia il calvario, inesorabile, ferite che si aprono su altre ferite, stridore di denti, abbattimento e poi ? Questo è solo l’inizio della storia, perché tutti noi conosciamo il senso del sacrificio di Gesù che sulla croce, negli ultimi istanti di vita ci mostra cosa fare all’apice della sofferenza: perdonare! Perché è qui che si sconfigge la morte .
“O morte dov’è il tuo pungiglione?” dirà San Paolo qualche anno dopo. La nemica di Dio, la morte, viene allontanata per dar spazio a nuova vita, ad una nuova vita, alla Resurrezione che però senza il perdono non avrebbe avuto modo di compiersi. Così come quando dopo la fine di un amore, magari dopo un tradimento, abbiamo una grande possibilità , aprire la porta al perdono e ri-sorgere che è soprattutto ri-cominciare. Perché lì dove non c’è perdono non può esserci ripartenza, lì dove non lasciamo andare non può esserci un nuovo inizio.
E questa è una delle letture che possiamo dare della Pasqua, darci la possibilità di perdonare le offese, i tradimenti, gli abbandoni, gli insulti, gli schiaffi, le incomprensioni, prendere esempio da Gesù che da “uomo come noi” , da “figlio dell’uomo”, ha sofferto come un uomo ed alla fine ha perdonato tutti per poi concedere a tutti noi la bellezza della sua Resurrezione. Ed allora anche noi dopo i traumi dell’abbandono, dopo la fine dell’amore magari non perdoniamo subito ma cominciamo almeno a concederci questa possibilità.
BUONA PASQUA !