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“Perché state a guardare il cielo?”. Commento al Vangelo di domenica 28 maggio

Riflessione sul Vangelo, (Mt 28, 16-20 ) At (1, 1-11)

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A cura di don Andrea De Vico
Anno A – Ascensione (Mt 28, 16-20) (At 1, 1-11)

“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”

Gesù ci ha insegnato a pregare il Padre nostro che è “nei cieli …” Nel Credo diciamo che Gesù è salito “al cielo”, e siede “alla destra” del Padre. Che cos’è questo “cielo”, questo “levarsi in alto”, questa “nube”, questa “destra?” Una favola, un mito, un modo di dire, un luogo reale? La cosmologia antica divideva il mondo in tre piani: il cielo (sede delle divinità immortali), la terra (per noi mortali) e gli inferi (regno delle divinità telluriche – terrestri – infernali – e le ombre dei morti). Con l’avvento della scienza moderna abbiamo scoperto che il cielo è solo uno spazio in cui si muovono la Terra e il Sole, la Via Lattea, e miliardi di altre stelle e galassie. Inoltre, al di fuori dell’atmosfera terrestre, a motivo delle leggi di gravità, tutte le rappresentazioni spaziali cui siamo abituati non hanno più senso: non esiste più un “sopra” o un “sotto”, una “destra” o una “sinistra”, un ”alto” e un “basso”. Abbiamo scoperto che le grotte fumanti e gli anfratti della terra non sono delle porte per l’al di la, ma sono dei semplici fenomeni carsici, delle emanazioni di zolfo. E allora dove sono andai a finire i morti, i demoni e gli angeli, dov’è Dio?

Uno dei massimi scienziati del nostro tempo, tra l’altro ateo, osserva che gli uomini, per rispondere alle questioni relative all’universo, adottano diverse “rappresentazioni del mondo”, mitiche, religiose o scientifiche che siano: “Se mai scoprissimo una teoria completa, questa un giorno dovrebbe essere comprensibile a tutti, nelle sue grandi linee, e non da un pugno di scienziati soltanto. Allora tutti, filosofi, scienziati e persino la gente comune, avranno la capacità di prendere parte alla discussione per sapere perché esiste l’universo, e perché esistiamo noi. Se troveremo la risposta a questa domanda, questo sarà il trionfo ultimo della ragione umana, e in questo momento, noi conosceremo il pensiero di Dio” (1)

Insomma, puntiamo le antenne “in alto” in svariati modi e per diversi scopi, ma nelle parole che l’angelo rivolge agli apostoli sembra di scorgere un ammonimento, un velato rimprovero: “non state a guardare il cielo col naso puntato all’insù, andate, continuate la sua missione, portare il suo Vangelo, migliorare la terra, aspettate il suo ritorno!” Questo significa vivere il presente con un compito da svolgere, lavorare per l’accrescimento dell’umanità e l’avvento del Regno. Per quanto lunga sia l’attesa, il tempo stringe e la vita è breve. Non si può restare senza far niente, con lo sguardo e la mente persi nelle nuvole! La regola di San Benedetto dice: “ara et ora”, “lavora e prega”. “Ara” è la terra, “ora” è il cielo. Devono essere vissuti insieme. Quando lavoriamo, la terra viene trasformata, diventa pane, vino, nutrimento, cultura! Difatti, senza il contadino che produce le patate, neanche l’astronomo può avere la possibilità di cimentarsi nelle sue ricerche.

Ecco allora il senso dell’Ascensione. La realtà corporea viene “elevata in alto”, “glorificata”. Grazie a Colui che sembrava scartato, umiliato, sconfitto, e che poi è stato esaltato “al di sopra dei cieli”, il destino del nostro corpo diventa uguale a quello dell’anima, la distanza tra “noi come oggetto e “noi come soggetto si accorcia! Non il faraone, non il principe o il presidente, ma è “l’uomo” che viene esaltato! La risposta che gli uomini cercano “in cielo”, con gli strumenti del teologo o dello scienziato, si trova “sulla terra”, poggiata sul nostro orecchio come alata parola d’angelo, giusto quanto basta per sapere dove puntare l’occhio e allargare l’orizzonte!

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