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Unità, il messaggio di Pentecoste

Commento alle Letture nella festa di Pentecoste

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A cura di don Andrea De Vico
Anno A – Pentecoste (At 2, 1-11); (1 Cor 12, 3b-7.12-13) (Gv 20, 19-23)

La folla rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua” (Pentecoste lucana) – “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito” (Pentecoste paolina) – “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati …” (Pentecoste giovannea)

Qual è il momento esatto dell’effusione dello Spirito Santo?
I dati cronologici sembrano in contraddizione.
Primo: Luca fa riferimento al cinquantesimo giorno dopo Pasqua, anniversario della nascita di Israele come popolo, al Sinai, con i tratti del vento e del fuoco. Ora c’è la nascita di un Nuovo Israele, una comunità di “fede internazionale”, la futura Chiesa.
Secondo: Paolo vede lo Spirito che edifica il Corpo di Cristo, a ciascuno un dono particolare, per l’utilità comune! A ognuno è dato, e tutti ne sono pieni! A ciascuno la sua vocazione irripetibile, il suo ruolo indispensabile, il suo talento inalienabile, la sua Pentecoste personale! Terzo: Giovanni tende a concentrare gli eventi decisivi tutti in un solo giorno, il primo dopo il sabato, quello della Resurrezione. Il suo interesse è squisitamente teologico, per cui mette in evidenza il dono dello Spirito come avvenuto lo stesso giorno di Pasqua.

Non è dunque possibile stabilire “il momento esatto”, della discesa dello Spirito Santo. La sua irruzione è imprevedibile, inclassificabile: “un fragore dal cielo”, “un vento che si abbatte impetuoso”, “lingue come di fuoco”, “manifestazioni particolari”, “soffio, alito”… Il vento è libero, penetra ovunque, non ha forme, viene dai quattro angoli del mondo, riempie tutto di sé, passa avanti senza più tornare indietro. Non esiste un controllo del vento, un monopolio del vento. Con il Vento Santo non possiamo fare i pignoli, meno che mai fissare i tempi, anzi, questa è la cosa più antispirituale che ci sia: fermare lo Spirito e costringerlo agli appuntamenti che diciamo noi!

Notiamo che nella Pentecoste di Luca l’effusione avviene quando i credenti si trovavano “tutti insieme”, “nello stesso luogo”, uomini e donne, anziani e fanciulli, giovani e vecchi, una sola voce nell’invocazione dello Spirito, ciò che conferisce loro il dono di intendersi e di parlare la stessa lingua, al punto da sorprendere l’intera città.
Oggi assistiamo a una tendenza a frazionare la messa “per categorie”. I gruppi di Padre Pio hanno la loro messa, i focolarini hanno la loro messa, i carismatici i loro incontri esclusivi, certi parrocchiani che non sopportano i paesani accanto se ne vanno nella parrocchia vicina, ad altri “piace” la messa dei monaci, che sono più seri o più carini dei preti…
Lo stesso orario è opzionale: si può andare alla messa mattutina degli anziani (più sbrigativa) o alla messa snob delle undici (per chi si alza tardi). Poi ci sono delle brutte diciture tipo “messa dei fanciulli”, “messa dei giovani”, “messa dei genitori”, “messa dei malati” ecc.

Quando poi trattiamo la messa con un senso di proprietà, tocchiamo il fondo. Celebrare per il comodo dei privati, per le ricorrenze familiari, per avere un nome da ricordare: “quando arriva la mia messa?” Talvolta le persone “si fanno dire” queste messe perché hanno qualcosa da farsi perdonare. In realtà la messa esprime l’unità, e quando siamo divisi tra i vivi è perfettamente inutile far dire le messe ai morti. Se i morti potessero parlare, direbbero: “state in pace, fatelo per noi!”

Di questo passo la messa non unisce, ma conferma la nostra vivisezione della realtà. Lo Spirito Santo vuole che stiamo: “tutti insieme!” La messa è sempre di tutti, specialmente la domenica: dobbiamo ripensare gli orari e cercare di incontrarci tutti, evitando questa dannosa inflazione di celebrazioni e di significati: “meno messe, più messa”.

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