+ Valentino, vescovo
In occasione della Visita pastorale, sono stato in tutte le Scuole della Diocesi. Ho vissuto incontri belli e interessanti nei quali, al di là di forme di tradizionale cortesia, ho colto l’attitudine delle nostre Scuole a considerare con attenzione le altre realtà del territorio. La mia presenza nelle varie assemblee scolastiche, infatti, è stata accolta con la serena attitudine al dialogo franco e aperto, al rispetto delle diverse opinioni e del ruolo da me ricoperto, senza inutili ossequi, superate soggezioni e sterili contrapposizioni.
Negli ultimi anni, inoltre, ho firmato alcuni Protocolli di intesa, con i quali le Istituzioni scolastiche stabiliscono collaborazioni con il giornale, la biblioteca, l’archivio della Diocesi. Spesso, poi, ho notato gruppi di studenti presenti nel palazzo della Curia per un corso, un incontro, una esercitazione, momenti di studio in biblioteca, alcune iniziative culturali. Come pure, molto significativa è la collaborazione instauratasi tra gli Istituti scolastici del territorio e il Centro diocesano per la famiglia “Mons. Angelo Campagna”.
Inoltre, leggendo i blog e la stampa locale apprendo spesso con piacevole sorpresa delle mille attività intraprese dalle nostre Scuole, tendenti a far entrare i problemi della società attuale e le varie espressioni culturali del Territorio tra le loro mura e all’interno del proprio progetto educativo. In tali iniziative, noto con piacere la grande apertura che contraddistingue l’Istituzione scolastica locale. Con Papa Francesco, mi sento di dire che essa è orientata verso una visione inclusiva della formazione dei nostri giovani, tendente a superare splendidi isolamenti e visioni settarie del passato.
Questo nuovo modello inclusivo di Scuola che va affermandosi nel nostro Territorio, crea in me tante speranze per la formazione e il futuro dei nostri ragazzi. Ritengo, altresì, che esso sia molto stimolante anche per le nostre Comunità cristiane. Queste, infatti, e per la loro missione e per il loro antico radicamento nella nostra Terra, dovrebbero essere le realtà inclusive per eccellenza, capaci di aggregare, coraggiose nell’affrontare i mutamenti della società, creative e, ove possibile, capofila di ogni cordata che si forma per promuovere diritti e crescita in umanità del territorio.
Nella Visita pastorale per affermare questo modello di Chiesa ho voluto incontrare tutte le Associazioni laiche di ogni Comune. È stato un momento bello, ma ho notato che spesso è stato accolto con sorpresa come un fatto eccezionale e non come una dimensione normale dell’essere Chiesa nel territorio, mentre, come ci ricorda lo splendido Magistero di Papa Francesco e il Concilio Vaticano II, le gioie e le speranze degli uomini dovrebbero essere di casa nelle nostre Comunità cristiane.
Ho letto che la necessità di promuovere la dimensione missionaria delle nostre parrocchie è già presente in una Lettera pastorale di un mio predecessore, Mons. Raffaele Pellecchia (1961-1967), ma dobbiamo constatare che tale imput ha trovato scarsa efficacia nella prassi delle realtà ecclesiali locali, che in genere intendono la missionarietà come azione di proselitismo più che l’appassionarsi alle storie degli uomini per portarle a fioritura con la passione che ci insegna il Vangelo. Infatti una parrocchia è missionaria quando pone al centro del suo agire pastorale non soltanto feste, funerali e piccole devozioni, ma quando vive tutto il suo patrimonio di grazia e di fede in funzione della promozione umana e spirituale degli uomini e delle donne del territorio, aprendosi alla collaborazione di ogni persona di buona volontà, cui sta a cuore la sorte dei fratelli.
Da questo punto di vista, pur apprezzando l’impegno di tante nostre parrocchie nell’Evangelizzazione, nella Liturgia e nel servizio della Carità, ritengo che si debba lavorare ancora molto perché le nostre Comunità cristiane siano aperte e inclusive e appaiano meno asfittiche e prese da manifestazioni religiose che, perché talora vissute come monopolio di piccoli gruppi sovente poco evangelicamente motivati, si sovrappongono alla vita dei nostri Comuni, ma non la fermentano. Anzi, spesso, tale isolamento rende le nostre manifestazioni religiose e l’azione delle parrocchie soporifere e legittimanti lo status quo, invece di stimolare alla crescita civile, morale e spirituale delle persone e delle comunità in cui sono inserite.
Sogno una parrocchia aperta e inclusiva. Sogno i miei preti sempre più liberi da pastoie clericali e da visioni di basso profilo della propria missione, e guide sicure di comunità vive, impegnate, aperte, profetiche e stimolanti una migliore qualità di vita del nostro territorio. Sogno cristiani attenti alla sorte dei loro fratelli, che vivono il Vangelo come passione e non come messaggio soporifero e tranquillizzante; sogno comunità cristiane che in ogni Paese si pongano come anima e fermento e strumenti efficaci di una storia che Dio vuole costruire bella per e con tutti i suoi figli.
Sogno che il Sinodo diocesano costituisca per la nostra Chiesa un passo significativo in tale direzione.
Per il momento, dico grazie alle Scuole del nostro territorio che con il loro esempio ci stimolano a riscoprire anche le potenzialità e l’identità vera della missione della Chiesa nella nostra Terra.