A cura di don Andrea De Vico
Anno A – XV per Annum (Mt 13, 1-23)
“Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse: ‘Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada… Chi ha orecchi, ascolti’ ”.
Al tempo dei nostri nonni la semente costava cara, era la cosa più preziosa della terra, custodita con attenzione perché rappresentava il futuro raccolto, la sopravvivenza del prossimo anno. Essi ne erano gelosi, spargevano i chicchi con parsimonia, li mescolavano con la sabbia in modo da spanderli con maggiore uniformità e ottimizzarne il rendimento.
Il seminatore di cui parla Gesù invece si comporta in un modo strano, lascia cadere la semente ovunque, lungo la strada, in mezzo alle pietraie e tra le siepi spinose: solo una piccola parte va a finire sul terreno buono! Un comportamento anomalo e irragionevole: nessuno avrebbe sprecato la semente in questo modo!
In realtà, se consideriamo la qualità del suolo nell’antica Palestina, refrattario e poco fertile, questo procedimento doveva essere abituale. Non
c’erano delle vere e proprie strade: i campi si confondevano con le superfici desolate e sterili, e venivano solcati dai camminamenti stagionali di uomini e di animali. Bisognava prima seminare, poi grattare il suolo, cercando di risistemare il terreno, scalciando gli ostacoli e cercando di coprire il seme negli spazi meno sassosi. Passando l’aratro, sotto una lieve patina di terra poteva anche affiorare la roccia. L’antico contadino palestinese sapeva che su quel tipo di terreno una perdita di una parte del seme era inevitabile.
Matteo, nel riferire la parabola di Gesù, pensava alla diffusione del Regno di Dio, alle difficoltà e gli insuccessi incontrati nella primitiva predicazione, alla delusione che ne conseguiva. Non era il caso di perdere coraggio: l’evangelizzazione funziona come una semina! La Parola c’è, il divino seminatore è all’opera, un Dio così folle da sprecare la sua grazia, che butta la sua semente su tutta la terra come polline a primavera.
La parabola lascia intendere che l’eventuale insuccesso della predicazione non dipende dalla Parola, ma dal terreno che trova. Anzi, la forza del Regno consiste nel suo apparente insuccesso. Luoghi aridi, luoghi fertili, fa niente, l’importante è che l’opera continui, che si vada a seminare: il futuro raccolto compenserà l’attuale perdita. Noi che collaboriamo in questa semina non dobbiamo lasciarci impressionare dalla proporzione delle perdite, ma porre fiducia nell’indiscussa fecondità del seme, e continuare l’opera.
L’importante è che il seme sia buono, che l’operaio faccia il suo lavoro. Solo così il Regno di Dio potrà sprigionare tutta la gloria che sarà. La strategia del contadino palestinese, adatta a quel tipo di suolo, ha vinto: nonostante le avversità, lì dove è attecchito, il raccolto è abbondante!
In un mondo che tende al massimo rendimento col minimo sforzo, ci viene affidato un seme che impegna il massimo sforzo senza preoccuparci del risultato. Questa è la legge del Regno: adottiamola anche noi, e continuiamo di buona lena il nostro lavoro!