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Castello del Matese. Festa a don Antonio Rinaldi “uomo di preghiera, testimone di fedeltà a Dio”

Un gran numero di fedeli ha affollato la chiesa parrocchiale di Santa Croce per fare festa al parroco. Davvero tutti: bambini, giovani, anziani gli sono accanto: segno di una comunità che si sente famiglia e condivide la gioia e la fatica del Vangelo

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“Ringrazio il Signore per tutte le volte che ho visto don Antonio pregare. Mi ha dato una forte testimonianza della sua fedeltà a Dio…”. L’entusiasmo del vescovo Mons. Di Cerbo in occasione della festa per il cinquantesimo di ordinazione di don Antonio Rinaldi.
Non è stata solo la festa della comunità parrocchiale di Castello, cui va il merito di aver curato in ogni dettaglio la festa al caro sacerdote con il prezioso contributo di don Salvatore Zappulo, sacerdote anziano originario del luogo, ma quella di un’intera famiglia diocesana, così come più volte ha sottolineato il vescovo Valentino Di Cerbo durante l’omelia nella messa di sabato sera, alla presenza di numerosi sacerdoti, dei fedeli del posto, di quelli giunti da Sant’Angelo d’Alife – dove don Antonio è stato parroco per circa trent’anni, e dei numerosi altri giunti dalle parrocchie dei paesi limitrofi.

Nessuno escluso da questo importante avvenimento: la comunità di Castello ha lavorato insieme programmando la festa per don Antonio secondo una logica di preghiera e di servizio. I giorni che hanno preceduto la messa solenne, infatti, sono stati dedicati alla preghiera per le vocazioni, mentre il regalo più significativo che la comunità ha fatto al proprio pastore è stata l’isitutuzione di una borsa di studio per un giovane di Castello di cui si sono fatti carico tutti i paesani. Un impegno che a partire dal prossimo anno, proseguirà – sempre nella logica di una promessa e di un regalo fatto al caro parroco – grazie all’amministrazione comunale, guidata da Antonio Montone, che definirà in maniera ufficiale questo impegno.
Una scelta, frutto di un’educazione alla carità e al servizio il cui merito va allo stesso parroco, che ha seminato così buon esempio, dando fiducia alle persone, educando alla responsabilità.

E proprio nella logica del buon seminare, che il Vescovo, commentando il Vangelo di questa Domenica (Mt 13,1-23), ha guidato la riflessione interrogando i presenti sulla identità del Padre e su quella del vero Cristiano.
“Per capire Dio dobbiamo conoscere il Vangelo”, ha spiegato. Non c’è teologo o filosofo che abbia saputo rendere così bene l’immagine del Padre come Gesù stesso fa nel vangelo di Matteo in cui Dio è il seminatore.
“Immagine straordinaria che evoca un gesto solenne, pieno di speranza, di futuro e di fiducia nella provvidenza”, così Mons. Di Cerbo descrivendo l’azione, cara anche ai ricordi di infanzia, dei seminatori nei campi di grano.
“Dio, seminatore, avvia quel processo che genera la vita, la primavera… Sparge dappertutto la sua parola – che si fa concreta nel figlio Gesù – per dimostrare la sua eterna fiducia nell’uomo, ossia il terreno che l’accoglie (…). Questo seme, ha proseguito il Vescovo, ci fa comprendere le potenzialità di ciascuno di noi, le grandi capacità di ciascuno di dare frutto buono, di essere per Dio, lo spazio in cui germoglia la sua Parola”.

Ha proseguito la riflessione, Mons. Di Cerbo, mostrando agli occhi dei presenti non solo il gesto del seminatore, ma anche il miracolo del germoglio: “La nostra vita è questo: possibilità di diventare primavera, vita nuova, bellezza, novità, luce per gli altri, se accogliamo la Sua parola; l’abbondanza dei frutti dipenderà dalla bontà del terreno che è ciascuno uomo, che è ciascun sacerdote”.

La riflessione del vescovo si è rivolta alla vita di don Antonio, a quella di ogni sacerdote, chiamato ad essere terreno fertile su cui Dio riversa ogni fiducia, chiedendo all’assemblea “Quando un sacerdote è un buon terreno?”
“Quando prega e mette Gesù al centro della propria vita; quando fa della comunione con il Vescovo e i confratelli il suo costante impegno; quando vive in relazione con le persone; quando vive con passione, alla maniera di Gesù, la missione che gli è affidata e il celibato, ossia la scelta totalizzante che lo chiama ad essere per tutti, di tutti”.
Proseguendo sull’identità del sacerdote, Di Cerbo ha poi chiesto ed indicato “la sobrietà, senza sentirsi o ostentare occasioni di privilegio rispetto alle persone in difficoltà”.
Con simpatia e ironia, più volte il Vescovo ricordando la lunga vita sacerdotale di don Antonio affaticata anche da condizioni di salute non sempre ottimali, lo ha ringraziato per l’audacia, la perseveranza, il coraggio di procedere “anche con il bastone, senza pensare di fermarsi a riposare”, elogiando poi la sua cordialità nei rapporti con tutti i confratelli, e il dono senza tempo e senza calcoli per le comunità che ha servito: “È bello vedere questi preti che muoiono sulla breccia”, per indicare l’inarrendevolezza della sua persona.

Parole di stima e affetto, al termine della messa, da parte dei sindaci presenti, in particolare il primo cittadino di Castello, Montone, prima che politico, figlio di una comunità che continua a vedere in questo parroco un fratello maggiore, un padre, un modello, un testimone vero.

L’ultima parola a lui, a don Antonio: nel ringraziare i presenti, non ha dimenticato nessuno della sua grande famiglia che è la chiesa. Dal vescovo ai confratelli, i familiari, le autorità civili e militari del paese, la comunità di Sant’Angelo e di Castello e di quest’ultima il gran numero dei collaboratori parrocchiali. Un lunghissimo elenco di nomi, di ruoli, di impegni: segno, quest’ultimo, di aver saputo spargere il seme della responsabilità, accolto da molti, che quotidianamente si manifesta nella risposta generosa, operosa, intelligente di tutti coloro che gli sono accanto e sentono la parrocchia come la casa comune in cui ci si educa e si cresce da cristiani e cittadini.

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