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Tutti sulla stessa barca, nella stessa tempesta. Il Vangelo di domenica 13 agosto

Le vicende della vita non sono "mare piatto" ma continue turbolenze e la paura di non uscirne. Eppure...

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A cura di don Andrea De Vico
Anno A – XIV  per Annum (Mt 14, 22-33)

“La barca intanto distava molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Gesù parlò loro dicendo: ‘Coraggio, sono io, non abbiate paura’ ”

“Onde che si spezzano urlando, il sole non scalda più, grappoli di nubi nere sull’orizzonte. Tremano gli esperti pescatori: ‘il mare ci tradirà!’ Gridano per la paura, cercando aiuto!” (1) Gesù viene loro incontro, sulle acque. Pietro, rassicurato che non è un fantasma, agisce d’impulso, vuol andare anche lui sulle acque, e fino ad un certo punto ci riesce. Poi comincia ad avere paura e ad affondare. Cosa succede in questo momento nell’animo del povero Pietro, nessuno può dirlo. Non ha scampo, vede l’acqua arrivare alla gola: “Signore, salvami!” E Gesù, dandogli la mano, gli dice: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

La distesa delle acque agitate dalle onde e dai venti contrari è una metafora della nostra vita, che spesso assomiglia a una navicella fragile che avanza sotto un cielo cupo e senza stelle. Se c’è una meta, è nascosta dietro l’orizzonte. La barca in difficoltà è il nostro matrimonio, i nostri affari, la nostra salute. Il vento contrario è l’ostilità e l’incomprensione degli altri, l’imminenza di un rovescio finanziario, la difficoltà nel trovare un lavoro o una casa. Succede anche a noi come a Pietro: all’inizio affrontiamo la situazione con forza e determinazione, “camminando sulle acque”, ma poi, vedendo che la prova si fa più lunga e dura, ci sembra di affondare, di non farcela più.

Sant’Agostino dice che anche la Chiesa è fatta così: è come una piccola nave che solca i mari del mondo attraversando ogni tempesta, stagioni di secca, sacche di depressione e così via. Per affrontare questo viaggio, la Chiesa è dotata di uno stabilizzatore capace di assorbire la forza d’urto delle onde e di trasformarla in movimento. L’esperto marinaio infatti sa come utilizzare la forza contraria del vento per andare nella direzione voluta. Questo strumento si chiama: “patientia” da non confondere con la rassegnazione passiva, né con l’atteggiamento del filosofo stoico che subisce le prove più dure della vita senza lasciarsi sfuggire neanche un lamento. La sopportazione dei filosofi sarà cosa nobile, ma è muta, non ha cielo su di sé.

Sant’Agostino osserva che alcuni cristiani “patientiam perdiderunt” (Sermo 4, 33), da non tradursi con un banale: “hanno perso la pazienza”, ma: “hanno perso la capacità di vivere l’attesa”. Quando uno ha perso questo, come cristiano ha perso tutto, passerà il resto della vita a piangere i suoi mali o a lamentare il tempo felice che fu, quando si facevano le belle processioni e si diceva il rosario nelle case, senza cogliere le opportunità che Dio gli offre adesso, senza scaldare il cuore con la trepidante attesa del mondo che verrà.

Il solco che la Chiesa apre nel mare di questo mondo ha una direzione ben precisa, la speranza di conseguire la meta, il porto sospirato, l’ingresso in un Regno dove mai tramonta il sole. Per realizzare questo, dobbiamo assumere “pazientemente” il tempo presente, fatto di precarietà, di attese, tensioni, persecuzioni, prove, scandali, divisione, crisi e scismi. Noi abbiamo “questa” Chiesa, “questa” barca, e navighiamo in “queste” acque. La barca di Pietro, “uomo di poca fede” di cui Cristo si è fidato!

“Và, uomo di sabbia, il mare è tutto mio, la nave non affonderà mai!”  (2)
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1) (2)  Cf. Domenico Machetta, “La Tempesta”, in “Mille Alleluia”, Canti per la preghiera dei giovani, LDC (1970?)      

1 COMMENTO

  1. Non possiamo esaurire la pratica religiosa facendo i cristiani della domenica. La fede deve diventare lampada ai nostri passi luce sul nostro cammino. Cala altrimenti il buio e con il buio anche il più leggero fruscio ci sembra tempestoso e genera in noi la paura. L’intervento di Gesù chiamato dalle fede e invocato dall’imminenza del pericolo, il «Signore, salvami!» di Pietro, ci fa scoprire l’atteggiamento premuroso e provvido nei nostri confronti, anche quando la fede vacilla.

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