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Alvignano / Dragoni. Violenza e omertà, mamma e figlie due volte vittime

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La lapidaria cronaca chiama in causa un uomo, P. Fabrizio di Dragoni, 65 anni, da oggi agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza nei confronti della compagna e delle figlie residenti ad Alvignano, nonché di abusi sessuali nei confronti di una delle figlie quando era ancora minorenne. Delle tre, non si avevano notizie da un paio di mesi, poi la notizia rasserenante che le vede al sicuro in una casa famiglia nel Lazio.
Tutto avveniva tra le mura domestiche, a pochi metri dalla locale caserma dei Carabinieri: nessuno accesso all’abitazione da parte di estranei e parenti, sporadiche uscite per le ragazze, nessuna per la donna ormai da vent’anni. Allarme degli assistenti sociali alcuni anni fa perchè alla madre delle ragazze era negata anche la normale assistenza medica di base.
Storia che accende la curiosità alla ricerca delle identità, note a qualcuno, sconosciute ad altri, cui inevitabilmente si associa un’amara riflessione: da quanto tempo tutto questo? Forse per troppi anni vittime di violenza, ostaggio di un uomo che ha fatto mancare il bene più prezioso alle sue figlie e alla loro madre: la libertà di essere donne, di una vita normale fatta di relazioni fino all’esasperazione cresciuta e indomita che le ha spinte a denunciare.

A sorprendere, nelle piccole comunità che sono i nostri paesi, sono gli epiloghi che in casi come questi consentono un respiro di sollievo ma anche la consueta reazione associata: “Si sapeva…”.
Discrezione, paura di irrompere in una storia familiare che nonostante il suo dramma si chiude in se stessa e irrigidisce la sua corazza di silenzio, tentativi falliti di approcciare un dialogo con esse, giudizio buonista per che fa passare un dramma per una situazione normalmente difficile e la partita è chiusa: tutto questo per descrivere una distanza tra due mondi “porta a porta”, il rumore di fuori e il silenzio di un’abitazione.
Interrogarsi è d’obbligo: scuola, istituzioni militari e politica, chiesa e l’intera comunità civile a quale missione o dovere concreto sono chiamati? Quale coraggio d’azione?
Una riflessione senza risposte. Una domanda che merita in coscienza di tuonare e mettere a fuoco non più questa vicenda ma le altre innumerevoli storie note e nascoste dei nostri piccoli centri.

Partita chiusa, dicevamo, finché il dramma di una vita diventa reazione, istinto a sopravvivere, con la speranza che non sia troppo tardi per poter ricominciare.

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