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Settanta volte sette. Commento al vangelo di domenica 17 settembre

"Perdonare per essere perdonato": il cristiano deve far valere questo movimento nella sua vita, perché "il perdono è una cosa seria" e si trova alla base del progresso umano e sociale

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A cura di don Andrea De Vico
Anno AXIV per Annum (Mt. 18, 21-35)                                                                      

‘Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?’ E Gesù gli rispose: ‘Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti coi suoi servi …’ ”.

Nella storia dei rapporti personali le offese ricevute rappresentano il più tragico dei capitoli. Parliamo meno delle offese che noi stessi procuriamo agli altri con le nostre parole, strategie, alleanze ed esclusioni di persone. Siamo sensibili a ciò che gli altri fanno a noi, ma prestiamo molto meno attenzione a quello che noi facciamo agli altri. Solitamente nessuno è disposto ad ammettere l’offesa fatta, quella ricevuta sì!

Quando osserviamo i difetti degli altri, prendiamo una posizione di giudice esterno. Vedo un automobilista che esce da una stradina laterale per immettersi con prepotenza nella via principale, e il mio facile giudizio dice: “criminale, toglietegli la patente”. Vedo il difetto in tutta la sua serietà, ne sono indignato, ci sono le leggi, i giudici, i procedimenti … Se invece provo a pensare che quell’automobilista imprudente potrei essere io, e la polizia vuol togliermi la patente, mi vedo in un brutto pasticcio e chiedo comprensione: “mi sono distratto, avevo fretta, starò più attento …” Se esco fuori dai guai, mi sento felice e soddisfatto. Quando giudico, devo provare a mettermi nei panni della persona che giudico!

Qui nasce il dramma: fino a che punto devo o posso tollerare un torto? Il “Canto di Lamech” è un frammento di poesia inserito nella racconto della Genesi: “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette” (Gn 4, 23-24). La legge antidiluviana della violenza non ammetteva perdono. Lo sfogo della vendetta, sì. Fino a “settanta volte sette” il torto subito.

Con la storia di Caino e Abele, la convivenza tra fratelli ha mostrato fin da subito una fragilità strutturale. La storia successiva dei discendenti di Caino mostra in che modo la violenza iniziale possa ingigantirsi a dismisura, fino a “settanta volte sette”, nonostante il progresso culturale, artistico e tecnologico. Se Caino colpisce il fratello per un motivo religioso (Dio gradisce i sacrifici di Abele, ma non i suoi), Lamech lo fa per un semplice graffio. Se Caino piange la sua colpa, Lamech si vanta della sua prodezza vendicativa. Più fa violenza, più è contento di fare violenza. Se Caino invoca da Dio la mitigazione della pena, Lamech affida la sua sicurezza alla prepotenza guerriera. Se l’uccisone di Caino autorizza una vendetta pari a sette volte il sangue versato, una piccola ferita di Lamech provocherà una vendetta all’ennesima potenza. Si può dire che la “Legge di Lamech” è la stessa legge praticata oggi dai mafiosi e camorristi, visto quello che fanno. Il progresso culturale, artistico e tecnologico, da solo, non garantisce il superamento della violenza che si esprime, ad esempio, nella corsa agli armamenti o nei rapporti spiccioli, quotidiani. Siamo molto intelligenti nell’affilare le armi, ma tremendamente stupidi nell’usarle.

Alcuni testi biblici, per contenere la violenza insita nell’essere umano, obbligano il perdono fino a tre volte (cf. Gn 50, 17; Am 2, 4; Gb 33, 29). La stessa “legge del taglione”, espressa nel famoso detto “occhio per occhio, dente per dente”, costituisce un progresso civile della convivenza umana. Se tu mi hai cavato un occhio, io non sono autorizzato a prendermi la tua vita, ma devo limitarmi a cecarti un occhio come tu hai fatto a me. Sarebbe interessante se i mafiosi e camorristi si attenessero alla legge del taglione, ci sarebbe molta più giustizia, anche tra di loro.

Al tempo di Gesù i farisei ne facevano una questione di precisione legalistica: fino a quante volte sono tenuto a perdonare? Gesù risponde rovesciando la prospettiva di Lamech: se quello s’incazzava fino a “settanta volte sette” l’entità del torto subito, la risposta del perdono deve essere analoga. In altre parole: la forza del perdono, per essere un vero perdono, deve essere inversamente  proporzionale ai sentimenti della violenza vendicativa.
Il perdono è una cosa seria, difficile, talora impossibile, ma Gesù fornisce un buon motivo per praticarlo, tramite un esempio inverosimile ma chiaro: un servo che doveva al re la somma astronomica di diecimila talenti, ma che riesce a farselo condonare mettendo in scena un proposito di buona volontà. Il re prende a cuore la situazione e lo lascia andare. Ottenuto il condono, forte della libertà ritrovata, questo servo afferra un subalterno e lo tratta duramente, per farsi restituire la somma irrisoria di cento denari (cosa minima, come il graffio di Lamech). La sua esigenza implacabile non conosce attese, nessuna tolleranza! Gli è stato condonato un debito enorme, ma lui stesso non riesce a sua volta a condonarne uno piccolo. Il re gli aveva usato misericordia, ma ora è lui che si atteggia a tiranno offeso, facendo per questo una brutta fine.

Morale della favola: chi si rifiuta di perdonare, o cerca scuse per non perdonare chi chiede perdono, farà la stessa fine. Infatti noi stessi non possiamo astenerci dal perdonare, quando abbiamo cose ben più grandi da farci perdonare! Sono due movimenti che dovremmo imparare a riscoprire: “io ti chiedo perdono” “io ti perdono”. Mai a senso unico: il perdono va chiesto e va offerto.
L’alternativa al perdono è il rancore, se mi conviene. Il rancore è un sentimento che col tempo diventa uno schermo, un muro spesso tre metri, tanto nei rapporti con gli altri, quanto con Dio, e alla fine non ritroverò più neanche me stesso! D’altro canto ci sono persone che vorrebbero perdonare, ma non ci riescono. Vorrebbero dimenticare, ma ci sono i fantasmi dei fatti accaduti. In risentimento è cosa umana, ma per il Signore non conta “ciò che senti”, conta “ciò che vuoi”. Se vuoi perdonare, e desideri farlo, hai già perdonato.

 

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