A cura di don Andrea De Vico
Anno A – XXVII per Annum (Mt 21, 33-43)
“Ascoltate un’altra parabola: un uomo piantò una vigna, la diede in affitto e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo mandò i suoi servi a ritirare il raccolto, ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono …”
I profeti avevano elaborato la bella allegoria della vigna per indicare il rapporto tra Dio e Israele. Egli si occupa di questa vigna con grande delicatezza, come un amore che non vuol altro che una risposta d’amore: “egli aspettò che producesse uva”. Ma ecco la delusione dei frutti che non arrivano: “essa produsse, invece, acini acerbi”. Un popolo scelto e amato che risponde con ingratitudine e infedeltà. Come reagisce il padrone della vigna, Dio? Ecco: “Toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e sarà calpestata … vi cresceranno rovi e pruni”. Nulla di più triste di una vigna abbandonata. A vederla, si indovina tutto il lavoro che vi è stato fatto. Dell’antica cura non restano che pallide tracce. Un bosco abbandonato è triste, ma non da la stessa sensazione di una vigna abbandonata: il rapporto affettivo non è lo stesso.
Detta da Gesù, la parabola conserva i significati classici: la vigna è Israele; il proprietario è Dio; i vignaioli sono i sacerdoti e gli anziani del popolo, difatti la parabola è rivolta a loro; i servi mandati a ritirare il raccolto sono i profeti, ma sono stati trattati male, perseguitati e uccisi. Dall’altro canto Gesù introduce nel racconto una novità: il figlio del padrone. Chi è questo figlio, che ruolo ha? Chiaramente allude a sé stesso, lasciando intendere che quel “figlio” che sta per essere ucciso dai vignaioli è lui: “Voi sacerdoti e anziani, affittuari della vigna del Signore, non avete accolto il messaggio di Dio, avete bastonato e ucciso i profeti, e ora rigettate l’ultimo messaggero, il figlio suo! Basta: la vigna vi sarà tolta e sarà data ad altri!”
Riportata da Matteo, che mette per iscritto la parabola udita da Gesù, la parabola guarda al popolo nuovo che farà fruttificare la vigna: sono i pagani che stanno entrando a far parte del nuovo Israele. Visto che il vecchio Israele ha rifiutato il Regno, ci sarà una nuova assemblea (“Ecclesia”) di popoli provenienti da tutto il mondo per formare un popolo nuovo. Per Matteo e la tradizione successiva, la parabola indica il trasferimento del Regno di Dio da Israele alla Chiesa.
Se non che, storicamente, anche i popoli cristiani si sono dimostrati “infedeli” e “duri”, al pari del vecchio Israele. Intere civiltà cristiane sono state spazzate via dalla storia, e la fiaccola della fede si è trasferita altrove. Pensiamo ai popoli che si affacciavano sul Mediterraneo: l’Africa del nord era cristiana, l’Egitto era cristiano, così anche la Siria, la Turchia, il Libano … poi è venuto Maometto. Il Vangelo, proclamato per la prima volta ai popoli d’oriente, è “emigrato” in occidente, lasciando il posto all’Islam.
Perché il cristianesimo è quasi scomparso dai luoghi di origine? Colpa delle aggressioni esterne da parte degli arabi bellicosi? No: il cristianesimo ha ceduto per un logoramento interno. Gli antichi cristiani orientali si accapigliavano per delle questioni teologiche come i tifosi allo stadio e la violenza dei centri sociali, finendo per abbracciare l’eresia più facilmente della fede. L’infedeltà è stata la vera causa della loro rovina. Il problema dunque non è nella pressione islamica, ma in una “crisi di produzione” insita nella vigna stessa: “egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi”. “Vi toglierò la vigna e la darò ad altri”.
Anche oggi assistiamo a una cosa del genere. Nella vecchia Europa ci sono intere nazioni che stanno abbandonando la fede, e dall’altra parte ci sono nuovi ingressi nella Chiesa in Asia, in Africa e in America Latina. Che ne sarà dei popoli europei senza fede? Li aspetta un radioso futuro di laicità e democrazia? O Maometto verrà anche in Europa? Nelle città fiamminghe già ci sono dei quartieri dove di fatto vige la “sharia”, o legge islamica.
Come l’agricoltore si aspetta che la vigna che “faccia frutto”, così Dio si aspetta che questo popolo dia un “frutto di giustizia”. Certo, noi stiamo ancora in Chiesa, questa è un’assemblea ordinaria, abbiamo il senso delle tradizioni e delle istituzioni, ma il frutto, la possibilità di raccogliere questo frutto, c’è ancora? Talvolta perdiamo il vero motivo che deve spingerci all’azione: il Vangelo. Facciamo delle cose solo perché si devono fare, o veniamo presi dal demone dell’accidia: “non mi va … non me ne tiene … non mi interessa …” I nostri spazi religiosi, talvolta, riproducono la stessa violenza dei contadini della parabola: la non accoglienza, il non ascolto, il giudizio, il rifiuto, l’emarginazione, il disprezzo, l’abuso …
Il Vangelo ci avverte: nel momento in cui noi diventiamo improduttivi, il Regno sarà trasferito ad altri. Padre Turoldo diceva: chissà se stiamo lavorando per il Regno di Dio, chissà se questo Regno ci appartiene ancora, chissà se non sia passato in altre mani!
Ma Dio continua a scegliere quel che noi scartiamo: “I primi saranno gli ultimi, e se non vi conviene, il Regno sarà dato ad altri”.