Home Arte e Cultura Massimo Cacciari al Festival dell’Erranza, quando il dono ha bisogno di cultura

Massimo Cacciari al Festival dell’Erranza, quando il dono ha bisogno di cultura

"Per dire il dono si deve necessariamente parlare di grauità", dall'intervento del filosofo Massimo Cacciari, ospite della V edizione del Festival dell'Erranza

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Fra Gaetano Paolo Amoruso

Ad aprire la V edizione del Festival dell’Erranza, nella bella cornice del complesso di San Domenico in Piedimonte Matese (CE), è stata la preziosa disquisizione del professor Massimo Cacciari, filosofo stimatissimo e uomo politico italiano.
La sua introduzione sulla tematica proposta, “il dono e l’impossibile”, ha raggiunto tutti come un delicato ma risoluto addentrarsi tra le molteplici coniugazioni del tema scelto, il quale, come da titolo, si presentava già radicalmente provocatorio e di vigoroso impatto. Un plauso va agli organizzatori dell’evento.
Ciò che il professor Cacciari ha da subito inteso sottolineare, principia col chiarire quale sia la vera essenza del termine “dono”, ovverosia ciò che permette a questa nobile verità di inverarsi nella concretezza: per “dire il dono” si deve parlare necessariamente di gratuità. Quanto è essenziale provocare il nostro mondo sui suoi termini più inflazionati, quelli di cui esso abusa, che distorce o che svuota di significato, poggiandosi su di essi come su gusci cavi destinati a sgretolarsi. Il dono è certamente una tra le vittime di questo decadimento.
È evidente che il degradarsi del significato rende incomprensibile la parola proferita ed il professore non tralascia di sottolineare quanto il dono sia vistosamente nel mirino del “non senso” contemporaneo. La sua massima svalutazione si ha quando lo si immette nel circolo di un linguaggio economico, quando è inserito nella dinamica a lui aliena dello scambio, quando, purtroppo, i verbi opposti “dare” e “prendere” si sovrappongono fino a fondersi in un unico movimento.
I tentativi dell’uomo di ridare forma e contenuto a questa eminente ed umanizzante realtà si sono moltiplicati nella storia del pensiero. Il professore, prendendo le mosse da Friedrich W. Nietzsche (1844 – 1900) nel suo Così parlò Zarathustra, ha parlato del come, secondo alcuni celebri pensatori del passato, l’uomo possa arrivare ad esprimere realmente il suo potere: non nel possedere, ma bensì nel donare, e nel donare senza misura. Come ricorda il professore, c’è un vocabolo di derivazione socratica, la pleonexia, che rimanda ad un atteggiamento tanto diffuso quanto insano, assai deleterio per chi lo matura, una sorta di “volontà di potenza” basata sul possedere e sull’accumulare con inesausta avidità. È proprio questo atteggiamento che Cacciari vede essere tra gli inquinanti più tossici per l’essere umano, capace di renderlo inabile a qualsiasi donazione senza fine di lucro.

Quello a cui si vuole giungere consiste nel verificare se la possibilità di una pura donazione rientra nelle capacità dell’essere umano, se è un fine perseguibile da collettività e singoli, oppure se veramente rimane nella sfera dell’inaccessibile, o meglio, dell’impossibile. L’obiettivo vertiginoso è una gratuità assoluta, che guardi innanzi a sé senza sperarne profitto o beneficio. Per il professore non ci sono dubbi che per affrontare un tale argomento si debbano scomodare le pagine della tradizione evangelica, rispolverando quei brani dove, bimillenaria, brilla la possibilità di scegliere il dono come proprio stile di vita.
Il primo dei due brani presi a testimonio da Cacciari è la celebre e paradossale parabola lucana nella quale i servitori del padrone, si autodichiarano servi inutili (Lc 17, 7-10). Come si legge nella pericope, gli inservienti, dopo aver compiuto ogni comando del padrone si appellano da se stessi “inutili”, lasciando interdetti, come di solito avviene, i lettori del brano.
Il professore tiene a ribadire che il suo intervento non vuole essere un’apologia dell’Evangelo, né tantomeno uno schierarsi in favore della religione cristiana, ma solo un richiamo antropologico necessario ai nostri tempi, perché un analfabetismo deleterio riguardo a queste tematiche non informi ulteriormente le società presenti e future. Seguitando nella dissertazione, il professor Cacciari ha ritenuto non superfluo, ma anzi opportuno, l’approfondirne una fondamentale declinazione della tematica trattata, introducendo uno tra gli aspetti più concreti del concetto, forse vaporoso, di dono: il perdono. Il “per-dono”, così come il dono, non sussiste in assenza di gratuità.
Arrivati a questo punto il nostro relatore, riprendendo il tema del Festival, sente incalzante una domanda sostanziale: parlando di dono incondizionato, ed alla luce di quanto ci siamo detti, rimane ancora umano ciò che Cristo ha chiesto? Le sue parole sono, infatti, lapidarie: «Siate voi dunque perfetti (cioè compiuti) come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48). L’eco di queste espressioni assume ineluttabilmente la forma di una domanda: “Chi può vivere tutto ciò?”.
Per Cacciari neanche Gesù ha risposto alla possibilità di un tale interrogativo, non si è premurato di risolvere per noi l’aporia tra il dono e l’impossibilità di viverlo. Con tristezza siamo costretti a registrare un dato non incoraggiante, e cioè che solo in pochissimi hanno concretato, seppur a singhiozzo, questa dimensione di donazione integrale nella storia; tra questi, a detta del filosofo, possiamo certamente contare il Poverello di Assisi, nel suo ritenersi “in-utile”, cioè privo di volontà di guadagno e di utilità.
La gratuità rimane, dunque, una straniera, errabonda sulla terra e tra le pieghe della storia.

Foto Fernando Occhibove

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