A cura di don Andrea De Vico
Anno A – XXX per Annum (Mt 22, 34-40)
“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo è simile a quello: amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Il comandamento più grande è quello dell’amore, ma a pensarci bene, l’amore è un comandamento? Si può comandare l’amore? Cosa vale di più, “la legge dell’amore”, come dice il Vangelo, o “l’amore della legge”, come vogliono certi religiosi osservanti? Questa “legge dell’amore” somiglia molto alla cosiddetta “regola d’oro” dell’umanità: “non fare agli altri quello che tu non vorresti sia fatto a te”. In forma evangelica: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Ci troviamo davanti a uno specchio, “noi stessi”, davanti al quale non si possono certo dire bugie! Se io ho un foruncolo sul naso, lo specchio inesorabilmente me lo mostra, per forza!
Amare il prossimo “come sé stessi” è difficile perché suppone un sano amore di sé, e noi non sempre riusciamo ad accettare i nostri limiti. Detestiamo noi stessi persino nel nostro aspetto fisico. Facciamo degli errori che non riusciamo a perdonare a noi stessi, quando magari Dio già ci avrà perdonati. Non sappiamo amarci nel modo giusto, e questo si trasforma in aggressività verso gli altri. Il sisma della violenza ha il baricentro nell’animo di chi la produce.
Anche nel riconoscimento dell’embrione umano vale la stessa regola: “io sono stato un embrione, se tu mi tocchi io mi faccio male, quindi non mi toccare!” In virtù della regola d’oro, la Legge deve dire una cosa: “non toccate l’embrione!” Qualche tempo fa la Corte di Giustizia Europea ha vietato il brevetto e l’uso sperimentale o commerciale dell’embrione umano, ma lo ha fatto per motivi giuridici, non certo per quell’elementare senso di rispetto dovuto alla vita umana. Il semplice fatto di congelare un embrione per poterlo utilizzare dopo la morte dei genitori biologici pone dei problemi enormi e insormontabili, dal punto di vista patrimoniale e finanziario.
L’amore al prossimo a volte è solo esteriore, superficiale. Ci sono persone che, non sapendo stare a casa propria e in pace con sé stesse, si danno alle opere di carità o si mettono a fare i volontari in qualche parrocchia o associazione, pensando che questo le aiuti a risolvere i loro problemi. Vorrebbero fare il bene…a spese degli altri. Non educate al bene, con quelle poche e confuse convinzioni che hanno, queste persone fanno disastri. Alla fine se la prendono con gli altri e se ne vanno sbattendo la porta, gonfie di risentimento. Segno che l’amore verso gli altri, fin dal primo istante, non era stato sincero, ma era inficiato da passioni egoistiche e tornaconti personali.
E’ celebre il detto di Sant’Agostino: “Ama e fa ciò che vuoi”. Una frase che si incontra con una certa superficialità persino sui rotocalchi femminili. Tanti sono disposti a sottoscriverla, intendendola come un lasciapassare per permettersi di tutto, purché ci sia l’amore. Un attore pornografico, ad esempio, ha giustificato il suo “lavoro” per aiutare le persone dalle passioni spente. Che strano mondo: se al mercato ti presentano un vino sofisticato, tutti gridano allo scandalo e pretendono il risarcimento, e nello stesso tempo abbiamo accettato e ci siamo assuefatti a tante porcherie spacciate con l’etichetta dell’amore.
In realtà Agostino stesso spiega come la si deve intendere, questa frase. Ci sono momenti in cui è impossibile sapere la cosa giusta da fare: parlare, o tacere? Correggere, o lasciar perdere una persona? Ecco una regola che va bene in entrambi i casi: “ama, e fa ciò che vuoi”. Se parli, parli per amore. Se taci, taci per amore.
Ci vuole “poco” per sofisticare o per rovinare l’amore, per questo deve essere offerto “tutto” al Signore: cuore, anima, mente! All’amore si può dunque comandare, anzi: “si deve” comandare, altrimenti col tempo diventa tutt’altra cosa!