Anno A – Tutti i Santi
A cura di don Andrea De Vico
“Signore, chi abiterà nella tua tenda, chi dimorerà sul tuo santo monte? Colui che cammina senza colpa, agisce con giustizia e parla lealmente, chi non dice calunnia con la sua lingua, non fa danno al suo prossimo e non lancia insulto al suo vicino …” (Sal 15)
La Santità è una prerogativa esclusiva di Dio: il concetto di Santità, “Qadosh”, suggerisce l’idea di separazione, di diversità. Dio è totalmente altro rispetto a ciò che l’uomo può pensare. Per dirla alla maniera moderna, egli è “L’Assoluto”, “ab-solutus”, “sciolto-da”. È vero che Dio è Santo, Separato, Assoluto, ma Egli vuole un popolo che partecipi alla sua Santità: “Io sono il Signore, il Dio vostro. Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono Santo” (Lev 11, 44).
Storicamente però, questo appello alla Santità rischia di prendere tutt’altra direzione. Nell’Antico Testamento si è sviluppato un concetto ritualistico della Santità: cerimoniali, preghiere, minuziose prescrizioni, fino all’inverosimile. Luoghi, oggetti, riti e regole che furono investiti e divennero mediatori di Santità. Questo tipo di Santità può essere profanata anche se uno si accosta al Tempio con una deformità fisica:
“Nelle generazioni future nessun uomo della tua stirpe, che abbia qualche deformità, potrà accostarsi ad offrire il pane del suo Dio: né il cieco, né lo zoppo, né chi abbia il viso deforme per difetto o per eccesso, né chi abbia una frattura al piede o alla mano, né un gobbo, né un nano, né chi abbia una macchia nell’occhio o sia eunuco” (Lev 21, 17-20)
Anche noi cattolici talvolta esprimiamo un concetto sfalsato della Santità, lo trattiamo come se fosse un fenomeno paranormale, straordinario, miracolistico, esagerato, eccentrico, al di fuori del comune. Identifichiamo i santi con le statue che stanno in Chiesa e una volta l’anno spolveriamo e portiamo in processione. Tuttavia, già nell’Antico Testamento, si cominciano a sentire delle voci che superano il concetto rituale della Santità, e la connettono all’agire morale.
Per esempio, l’Orante del Salmo 15, quello proclamato oggi, sente il bisogno di un luogo preciso per incontrare Dio: il Santuario del monte di Gerusalemme. Però solo chi agisce in un dato modo è degno di entrarvi: l’onestà, la sincerità, la discrezione nel parlare, l’assenza di qualsiasi torto, il rispetto del prossimo, la fedeltà alla parola data … La ricerca di Dio nei luoghi santi si gioca non tanto sull’esigenza di una purità rituale, o su di un’esperienza meravigliosa da raccontare una volta tornati a casa, quanto sul modo di relazionarsi dell’uomo con l’altro uomo.
Leggendo questo salmo, non pare che Dio chieda all’uomo qualcosa di particolarmente sacro, eccezionale o sofisticato; non chiede atti eroici o di grande penitenza, non chiede preghiere incessanti o sacrifici insostenibili. Il vero credente deve distinguersi per delle qualità umane, la sua grandezza è tutta qui. Si direbbe che la volontà di Dio è che noi diventiamo veramente uomini. Ciò che Dio vuole dal credente, per dargli accesso alla sua casa, è che si presenti da vero uomo, da persona retta! Gli oggetti sacri non contano: è la lingua che deve essere “pura!”
Una Santità quotidiana, accessibile a tutti. Una “Santità laica, etica, pubblicamente riconoscibile”, che informi ogni esperienza umana e religiosa. La “Santità rituale”, e la Santità dai colli storti e le facce emaciate, è cosa scaduta, non serve a nulla. La Santità, per essere tale, ha bisogno della giustizia nei rapporti.