Anno A – XXXI per Annum (Mt 23, 1-12)
A cura di don Andrea De Vico
“Voi non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare ‘guide’, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo!
Prese alla lettera, le parole di Gesù assomigliano alle dichiarazioni di un sessantottino esaltato dall’ideologia egualitaria: siamo tutti uguali, non ci sono differenze, non ci sono né padri né padroni, né professori né maestri. Insieme al rifiuto del padre, seguendo una traccia ideologica che parte dall’Illuminismo, essi hanno espresso il totale rifiuto dell’autorità e della tradizione. La stessa sorte è toccata alla figura paterna di Dio: se prima Dio era presente in tutte le dimensioni della vita, ad un certo punto l’uomo moderno si è sentito in dovere di estrometterlo, col proposito di abbattere ogni sacra gerarchia. In realtà, i fratelli sono tali proprio perché figli di uno stesso padre. Il disconoscimento di Dio come Padre porta al disconoscimento degli altri come fratelli. Nel momento in cui il padre non c’è più, i fratelli si ubriacano di libertà, si azzuffano e si azzannano tra di loro a motivo dell’eredità, finché il fratello più grande non prende il sopravvento sugli altri e si sostituisce al padre, spiando e manipolando la vita degli altri. In una famiglia numerosa, al tempo dei nostri nonni, quando un padre assente o troppo occupato nei lavori delegava l’autorità al figlio maggiore, succedevano dei guasti incredibili per tutta la storia della famiglia.
Al centro di questo Vangelo c’è una dura requisitoria contro i sacerdoti e le guide spirituali del popolo, estensibile alle classi dirigenti di tutti i tempi: i custodi dell’Alleanza hanno violato l’Alleanza, i rappresentanti della Giustizia hanno disonorato la Giustizia, i capi religiosi hanno profanato la Religione! E con tutto questo si fanno chiamare rabbì, maestro, padre, reverendo, eccellenza, eminenza, onorevole… Cristo perde la pazienza e ne dice di tutti i colori. Il suo pensiero, con una certa dote di sarcasmo, si riassume in un detto che conosciamo bene: “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno”.
È una vergogna che dei rappresentanti dell’autorità pubblica o religiosa davanti al popolo parlino bene, e poi agiscano male. La verità è riconosciuta e promulgata, ma poi viene contraddetta dai fatti. Ricordiamo il dramma di Erode quando seppe che nel suo reame, da qualche parte, era nato il Messia. In questa scenetta natalizia c’è tutta la crema di Gerusalemme: i sapienti (i filosofi), i principi (i politici), gli scribi (i teologi) e i sacerdoti (il clero). Tutti hanno paura di perdere il posto, con l’avvento del nuovo re. Tutti sanno cosa c’è nei rotoli delle Scritture (il Codice della Legge), tutti sanno dove doveva nascere il Messia, sanno pure indicarlo ai magi, ma loro restano fermi sulle loro posizioni. Sant’Agostino dice che sono come le pietre miliari (cartelli stradali): indicano la strada, ma essi non si muovono di un dito. Sanno, ma non credono. Anche in una certa gerarchia politica e gente di Chiesa: sanno, ma non credono.
La destra conservatrice, capace di far strage di bimbi innocenti! La sinistra rivoluzionaria, che ammazza padri e professori! Terribile! A destra, padri che per mantenere il potere mortificano il futuro dei figli, a sinistra, figli che ammazzano i padri per potersene riappropriare. Il rapporto generazionale tende a schiacciarsi, di conseguenza prende piede l’ideologia gender, che appiattisce persino le differenze tra maschio e femmina. Ora è tempo di ripensare il principio dell’autorità, che non va esercitata alla maniera farisaica o sessantottina, ma in modo “umano”: io che ti sono padre e sono diventato adulto prima di te, ti aiuto a crescere e a diventare come me, adulto e responsabile. Infatti la parola stessa, “auctoritas”, viene da “augeo”, che significa “crescere”. In ogni modo, esiste una materia in cui Gesù è veramente unico Maestro. Certe cose le può dire solo lui: la verità di Dio e la sua volontà nei nostri riguardi. Su questi argomenti, solo lui può parlare in proprio. Prendere o lasciare, siamo persino liberi di decidere la nostra eternità, ma in quel giorno nessuno potrà dire: “non lo sapevo” “facevano tutti così” “il prete era peggio di me”…
Anche oggi, talvolta, la perfidia o il tradimento della fiducia abita l’ambiente ecclesiastico. San Gerolamo esclamava: “Guai a noi, miserabili, che abbiamo ereditato i vizi dei farisei!” Per Sant’Agostino la condizione di maestro è rischiosa, quella del discepolo è più sicura!