Don Michele Falabretti ha incontrato i sacerdoti della Diocesi di Alife-Caiazzo per parlare di giovani, per rileggere il rapporto tra questi e i sacerdoti.
“I preti nella vita dei giovani oggi, – ha spiegato in occasione dell’aggiornamento pastorale del Clero – non sono più un riferimento immediato e costante: il rapporto che i giovani dichiarano di avere con loro è controverso. Da una parte, infatti, è cresciuta una certa confidenza e un certo legame rispetto al passato. Dall’altra (però) i preti non sono più le figure di riferimento principali”.
Un incontro, quello voluto dal Vescovo Mons. Valentino Di Cerbo, in accordo con il Servizio diocesano per la pastorale giovanile affidata al sacerdote don Salvatore Di Chello e al seminarista Paolo Vitale, per rivedere ruoli e responsabilità, ma soprattutto recuperare un nuovo stile di incontro con i giovani.
Se la Chiesa con fatica dialoga con i ragazzi, partiamo da qui, dall’esame dei limiti e dalle possibilità di cambiare. Questa la strada che si è data la Diocesi di Alife-Caiazzo in un atteggiamento di aggiornamento costante rispetto a se stessa.
Al termine dell’incontro, in cui Don Michele ha parlato anche di aspetti specifici di pastorale giovanile e del Sinodo dei giovani voluto da Papa Francesco, abbiamo posto direttamente a lui qualche domanda.
La Pastorale giovanile in Italia. Tanti passi compiuti…
L’italia è sempre stata una terra di tantissime azioni pastorali nei confronti dei giovani; una delle più salde radici è San Filippo Neri nel 1500 e a seguire tante testimonianze e racconti forti caratterizzate da una forte particolare per il mondo giovanile.
La nascita del Servizio nazionale per la Pastorale Giovanile, per volontà dei Vescovi italiani risale al 1993 con l’intento di creare un coordinamento di tutte le azioni pastorali nei confronti dei giovani. Era giunto il momento di imparare a lavorare pensando e pensare facendo. Una bella sfida dedicata ai giovani per dare ordine e circolarità ai progetti pensati per loro e con loro.
È passato questo stile?
La fase iniziale, lunga e feconda, ci ha poi visti assorbiti dai grandi eventi che tra il 1997 e il 2007 hanno caratterizzato lo stile d’incontro tra Chiesa e giovani, finché la strada è diventata un’altra: un velato senso di delusione per i grandi eventi ha visto avanzare un nuova esigenza, quella che punta alle esperienze di fede piuttosto che ai numeri. L’evento rimane tuttavia occasione d’incontro, di relazioni, di scambio.
Lo scorso gennaio Papa Francesco ha annunciato il Sinodo dei Giovani e consegnato alla Chiesa un Documento preparatorio in vista della fase assembleare successiva. Da lì il susseguirsi di approfondimenti nelle Diocesi e la compilazione di un questionario i cui contenuti sono già in lavorazione prima dell’Assemblea sinodale dell’autunno 2018. La Chiesa si prepara a vivere questo momento di svolta, di nuove modalità nei confronti dell’universo giovanile in continuo cambiamento. È lei stessa pronta a cambiare?
Don Michele Falabretti commenta così quello che sta avvenendo in questi mesi: Il Sinodo dei giovani si inserisce in questa nuova consapevolezza affrontando alcune grosse questioni e riducendole a possibilità concrete di cambiamento.
In che modo?
La stessa espressione – ormai tanto cara a tutti – di Chiesa in uscita identifica un problema ma non offre le soluzioni… Questo ci impone di capire dove andare e cosa fare e perchè ciò avvenga il Sinodo si rivela strada necessaria. A questo punto si impone un’altra espressione e una scelta fondante, quella della conversione pastorale.
Cosa intendiamo per conversione pastorale rispetto al mondo giovanile?
Accettare di essere prete, cristiano che annuncia, preoccupandomi della vita dell’altro. Nei nostri contesti abbiamo vissuto per troppo tempo schioccando le dita e facendo arrivare gente, oggi invece bisogna accettare di restituire questo movimento, andare noi nella direzione dei giovani.
Una sorta di attenzione da ricambiare, uno stile riconvertito…
Noi sacerdoti dobbiamo diventare più bravi a suscitare domande piuttosto che dare risposte. Deve interessarci di più e meglio la vita dei giovani, stare loro accanto, interessarci dei loro sogni e della loro possibilità di abitare il mondo.
Quali passi da compiere perché il Sinodo sia esperienza autentica?
Siamo chiamati a fare due cose: la prima è aprirci al discernimento pastorale, capire cioè cosa le comunità adulte stanno facendo per i giovani, capire e rivedere lo stile con cui ci rivolgiamo a tutti loro, comprendere che considerazione abbiamo di loro e se davvero li consideriamo dono prezioso anche per la nostra vita.
La seconda consiste nell’ascolto serio della loro condizione: “fammi capire… Cosa sogni per te… Di cosa parla il tuo cuore…”.
Considerarli per ciò che sono: una risorsa che dà senso alla vita degli adulti ed è capace di interrogarli…
Possiamo immagine un dopo Sinodo?
Un sinodo per definizione è una strada da percorrere.
Abbiamo voglia di percorrerla questa strada e capire, strada facendo, che cosa deve succedere, altrimenti rischiamo di scrivere il Sinodo prima che avvenga e non avrà alcun senso.
Rispettare un cammino, un processo, vuol dire farlo, compierlo insieme. E vuol dire anche sospendere ogni tipo di risposta e porsi in attesa per ciò che accadrà dopo. non significa però rimanere con le mani in mano….ma noi per primi lasciarci suscitare da questo tempo di ricerca. Il Sinodo necessita del suo spazio e di ascolto.
Il tempo delle conclusioni e delle proposte verrà dopo e ci troverà pronti ad accoglierlo e a trasformarci.