Anno A – XXXIII per Annum (Mt 25, 14-30)
A cura di don Andrea De Vico
“Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. Dopo molto tempo il padrone tornò e volle regolare i conti con loro …”
Siamo quasi al termine dell’anno liturgico, la riflessione volge alle cose ultime, il senso della fine, non solo la fine del mondo, ma la mia fine personale, i due eventi coincidono. Chiudo gli occhi, e finisce il mondo!
E’ dunque tempo di raccolta, di riassunti, di conclusioni. Cosa mieto ogni stagione? Cosa faccio dei miei doni, la mia fede, la salute, l’intelligenza, il tempo, le amicizie? Padre Turoldo racconta di aver incontrato gente che, giunta al capolinea, si è espressa in questi termini: “Padre, che vita sbagliata, quanto ho sbagliato” “Padre, mi trovo a mani vuote” “Padre, ho fallito”. Padre Turoldo avverte che “noi moriremo perché adoriamo cose da nulla”. Così, nei giorni della vita, noi ci affanniamo per conquistare quello che non serve, nell’illusione di fare cose grandi! Tutto si risolve in una buca nel terreno. Questo buco, questa fossa, questa bara, questo vuoto, questo non senso, questa assenza di significato.
C’è un cantante idolatrato dai giovani di una volta che sono diventati gli attuali adulti: “Voglio trovare un senso a questa sera / Anche se questa sera un senso non ce l’ha / Voglio trovare un senso a questa vita / Anche se questa vita un senso non ce l’ha” e così via, la litania del non-senso: “questa storia” non ha senso, “questa voglia” non ha senso, “questa situazione” non ha senso … E allora “Sai che cosa penso? / Domani arriverà lo stesso!” Come disse l’intramontabile Rossella O’Hara alla fine di “Via col Vento”: “domani è un altro giorno”.
Bah. Se io stasera consegno questo giorno alla disperazione del non senso, domani la mia scelta inesorabilmente si ripete, e il giorno della mia liberazione non arriverà mai. Se invece mi lascio prendere dall’incanto di questo giorno che passa, allora ci sarà un senso anche per il domani. Deve essere adesso, non domani, che deve succedere qualcosa dentro di me, perché si spezzi questa catena del non senso che mi porta a sotterrare il mio talento in una buca, in una tana, in un rifugio, in un’attesa senza oggetto.
Guai a me se faccio come il laureabondo che affossa il suo talento all’università, evitando di dare una seria e definita prova di sé. Misero me, se mi porto una donna in casa senza decidere seriamente di prendermi cura di lei e dei figli che possibilmente verranno. Arriverò al termine dei miei giorni senza neanche avere più il tempo di mettermi a cercare “il senso” della vita, dovendone presentare “il conto”.
Se io non traffico il mio talento, per quanto modesto esso sia, divento un irresponsabile che riempie i suoi giorni di cose effimere, senza direzione, “in-sensate”, appunto, cose che mortificano la voce dell’interiorità. Se io invece mi lascio interpellare dallo Spirito, e imparo a fare i miei conti tutti i giorni, sono una persona “respons-abile” nel senso più vero del termine: avrò “l’abilità di rispondere” ai problemi, alle mancanze di senso, quindi al giudizio finale che giungerà al termine della mia vita. A volte sono stanco di aspettare, anzi mi manca il senso stesso dell’attesa: “tanto non viene nessuno!” “tanto la vita eterna è eterna, può aspettare!” Insomma, posso decidere di trafficarlo, questo talento, oppure no. Quello dei cinque talenti ne ha guadagnati altri cinque, anche quello dei due talenti ha raddoppiato, ma il terzo non ha trafficato nulla, ha avuto paura del suo padrone ed è rimasto fuori, come le ragazze sciocche di domenica scorsa …