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Commento al Vangelo. È tempo di Giudizio universale

Dio esiste? Esiste la separazione tra bene e male? Eccolo, il vangelo di domenica 26 novembre, solennità di Cristo Re dell'Universo

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Anno A – XXXIV per Annum (Mt 25, 31-46)
A cura di don Andrea De Vico

“Quando il Figlio dell’uomo verrà, sederà sul trono della sua gloria. Verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre”

Il Giudizio universale consiste in una separazione finale netta tra chi ha fatto il bene e chi ha fatto il male, tra giustizia e iniquità. Dio esiste? La Giustizia esiste? Per i greci la giustizia era una divinità, “Dike”, che agisce in un mondo fatto di guerre, contese e litigi senza fine. Dalla dea Dike discendeva il “diritto”, fatto per arginare le pretese dei singoli e delle comunità. Senza il diritto lo Stato non potrebbe esistere. Il diritto veniva indicato con una parola molto usata nei tribunali greci: “cosmos” (per i latini: “ordinatus”). Il diritto infatti tende a mettere ordine alla convivenza umana, facendone appunto un “cosmos”, un tutto bello” e “ordinato”. Il primitivo concetto giuridico di “cosmos” fu trasferito alle prime indagini sulla Natura (da cui la “cosmologia” come scienza). Infatti anche in Natura ci sono guerre, contese e opposizioni, che sono i terremoti, le tempeste e le alluvioni. Le cose sono sempre in lotta tra di loro, ma anche su di esse Dike esercita la sua autorità. Tutto ciò che nasce, si nutre e si sviluppa, lo fa a spese di altri esseri che nascono, si nutrono e si sviluppano. Il dio Crono (il Tempo), per riportare i conti alla pari, ha stabilito la fine di ogni cosa, perché altre possano avere inizio. Anassimandro spiega il divenire e il perire delle cose “come una contesa giudiziaria, nella quale esse devono tributarsi reciprocamente ammenda e risarcimento per la propria ingiustizia, secondo la sentenza del Tempo” (1)

I greci avevano una incrollabile fiducia nell’ordinamento del mondo. E’ impossibile calpestare il diritto, perché esso finisce sempre per imporsi vittorioso. Il “castigo” prima o poi arriverà, per ristabilire il giusto equilibrio lì dove la prepotenza umana aveva violato i limiti. “Castigare”, “rendere casto”, vuol dire “rimettere nel giusto ordine” quel che tendeva a decadere nel disordine. In Esiodo, la punizione della giustizia divina, Dike, si manifesta nel cattivo raccolto, nella pestilenza, negli aborti, nella guerra e nella morte; in Solone la punizione avviene nello sconvolgimento dell’ordine sociale: guerra civile, assemblee non democratiche ma violente, gente costretta ad emigrare e a cadere in servitù a motivo dei debiti (2)

 Stando a questo modo di vedere, l’alluvione di Firenze del ‘66, il cedimento della diga del Vajont e le recenti alluvioni in Liguria sono espressioni di una giustizia divina, Dike, che pareggia i conti lasciati in sospeso. Dopo decenni di disboscamenti e di abusi edilizi, è chiaro che prima o poi il fiume si riprende il suo. Stiamo attenti anche al Torano di Piedimonte, divenuto una discarica invisibile per l’incuria amministrativa e le cattive abitudini dei privati. Ma c’è qualcosa di strano in questo tipo di Giustizia che colpisce solo gli abitanti del pianterreno, risparmiando quelli dei piani alti. Si tratta di una Giustizia ingiusta, come tutte le giustizie terrene. Per i cristiani la Giustizia non è di questo mondo, ma si manifesterà in un giorno speciale, quando anche il Tempo avrà fine:

“Il ‘Dies irae’, composto nel tredicesimo secolo, è percorso dal tema del conflitto tra giustizia e perdono e della loro finale riconciliazione nel giudizio divino alla fine dei tempi. La pena del Purgatorio era prevista per tutti i cristiani, tranne che per quei pochi che si trovavano in Paradiso (i santi) o all’Inferno (gli impenitenti). In Purgatorio ciascuno veniva punito indipendentemente dal proprio rango, secondo i peccati commessi. Il Giudizio Universale era l’equivalente di una grande democrazia cosmica. Il Purgatorio era l’esempio di una grande democrazia cristiana. Nella vivida esposizione di Dante Alighieri, i papi e gli imperatori soffrivano insieme a servi e briganti. Il solo principio che distingueva il destino dei singoli era la determinazione della pena secondo la gravità dei peccati personali” (3)

La fede in un Giudizio Finale e Universale divenne fonte teologica di cultura e di tradizione giuridica. Però i credenti di oggi si sono fatti un’idea strana della Giustizia. C’è la tendenza di trattare la Giustizia come un affare personale, dall’ex-Presidente del Consiglio fino all’ultimo dei cittadini, e c’è chi pensa che alla fine del mondo anche il demonio si convertirà a Dio, stracciando la Giustizia divina e ottenendo un’amnistia misericordiosa, mega galattica. Con una premessa simile, con una cultura simile, che riduce la catechesi dantesca a visione poetica, financo comica, la distinzione tra il bene e il male crolla, la convivenza civile crolla, l’universo intero crolla.

 Si vede che non ci crediamo più, nel giorno del Giudizio, o lo pensiamo lontano, tra milioni di anni, quando si spegnerà il sole. Ma il Vangelo avverte: “scemo, questa notte stessa ti sarà chiesta la tua vita!” C’è prossimità tra il giudizio universale e quello individuale. La fine del mondo ha qualcosa a che fare con la mia fine personale. Il fatto che l’Italia, campione del mondo, di fronte a una squadretta artigianale come la Svezia, non abbia superato neanche il primo grado di giudizio per essere ammessa ai mondiali, significa che tutti quei milioni di euro, tutti quei calciatori super pagati, super viziati e super coccolati da una marea di gente istupidita che li segue, non sono sufficienti a garantire neanche una sciocca vittoria. Significa che io posso essere così bravo da fare i miracoli di Padre Pio, ma se abbasso la guardia solo un attimo, basterà l’azione del più scemo dei diavoli a compromettermi il risultato!

Alla fine della Partita Universale ci sarà l’ultimo fischio e la sentenza definitiva sul mondo e sulla storia, ma non è che io mi debba spaventare per questo. L’innocente che si presenta in una corte di giustizia non ha niente da temere, anzi: la persona i cui diritti sono stati calpestati farebbe dei salti di gioia nel sapere che finalmente c’è un Giudice Supremo e un Tribunale senza appello che stabilisce la Giustizia una volta per tutte! Allora anche noi, con questa Liturgia, andiamo incontro al Maestro, uomo come noi, che incontreremo in veste di Giudice! Non il giudice politicizzato, influenzabile o perverso, non l’arbitro meritevole di facili insulti, ma il Giudice giusto che finalmente mi porta la parola che mi spetta!

(1) (2) Cf. Werner Jaeger, “Paideia”, La formazione dell’uomo greco, Bompiani 2003, pp. 214; 264-266

(2) Cf. Harold J. Berman, “Diritto e rivoluzione”, Le origini della tradizione giuridica occidentale, Il Mulino, 1998, p. 182-183

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