Immacolata Concezione (Lc 1, 26-38)
A cura di don Andrea De Vico
“Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gen 3, 15)
Per capire la realtà dell’Immacolata dobbiamo tenere presente lo sfondo dell’inimicizia che si verificò all’inizio dei tempi. Non dobbiamo pensare al paradiso (terrestre e celeste) come a un luogo fisico, identificabile in un determinato luogo o tempo della storia, in Mesopotamia, al di là delle Indie o tra le sfere celesti. Il racconto relativo al paradiso delle origini è una semplice metafora che serve a dire quello che siamo, in tutti i luoghi e in tutti i tempi. La nostra esistenza di uomini conserva tracce di eventi primitivi, primordiali. Noi uomini di oggi siamo la somma instabile di elementi che ci hanno preceduto nel mondo inorganico, nel mondo organizzato dei viventi, in una storia che trascende la natura, e in una storia che trascende la storia: la “storia della salvezza”, quella di Dio che entra nella storia!
L’inimicizia dell’infanzia (in)nocente. Tanto per cominciare, nel paradiso della nostra infanzia c’è stato un momento cruciale, quando per la prima volta abbiamo visto un giocattolo nelle mani di un altro bambino, con la consapevole determinazione di volerlo possedere anche noi. Ci siamo interessati all’oggetto e forse ci siamo anche bisticciati per conquistarlo, ma nel momento in cui lo abbiamo avuto tra le mani, l’interesse è subito scemato, l’oggetto ha perso il suo valore, e noi lo abbiamo abbandonato a terra, perché? A ben vedere, noi non abbiamo desiderato il giocattolo in quanto tale, per una sua qualità intrinseca o perché lo vedevamo utile a qualcosa, ma lo abbiamo desiderato per il semplice fatto che si trattava dell’oggetto del desiderio di un altro bambino. Abbiamo cominciato a desiderare il desiderio dell’altro come se volessimo prendere il posto dell’altro, acquistare una potenza riflessa dall’altro. Ed è qui che noi abbiamo iniziato a “decidere” il nostro desiderio: un “desiderio fecondo”, se genera un altro desiderio che ci muove alla ricerca, o un “desiderio invidioso”, se restiamo bloccati, con lo sguardo fermo e lacerato dalla gelosia.
L’inimicizia dell’amore (im)possibile. Nelle amicizie succede lo stesso. Due adolescenti si vogliono bene, sono amiche per la pelle, condividono gli stessi interessi, amano le stesse cose, ridono insieme, dormono insieme, fanno la doccia insieme e la pipì insieme. Normalmente si tratta di una “prova generale” tra coetanee prima di entrare in una relazione più impegnativa (e rischiosa) con l’altro sesso, ma non sempre tutto fila liscio. Quando una delle due comincia ad avere una storia con un ragazzo, si innamora e magari se lo sposa, l’altra che fa, se ne resta con le mani in mano? No: è probabile che si innamori anche lei dello stesso uomo, deve vedere che pasticcio combinare per poterlo conquistare. Riuscita nell’impresa, lo scarta come un giocattolo usato. Non è che lei volesse offendere l’amica direttamente, no, o avesse un reale interesse per quel tipo lì: aveva semplicemente cominciato a desiderare lo stesso desiderio dell’amica, al fine di essere qualcuno, per non restare indietro. I peggiori disastri delle migliori famiglie dipendono da questo: ci si contende l’affetto dei figli, dei fratelli, delle cugine e delle cognate, per mezzo di stupidi oggetti assurti a feticcio.
L’inimicizia nella sua radice spirituale. Nella letteratura o nei resoconti degli esorcismi celebrati per aiutare delle persone sofferenti è facile capire il motivo e il motore dell’inimicizia, come in questo inedito del 2015:
“Vai via, Lucifero, a nome di Gesù Cristo che ti ha fatto”
“Chi mi ha fatto? Idiota, uno che è secondo a me poteva mai farmi? Lui è secondo a me!”
“Quante baggianate che dici!”
“Incarnato in una realtà minore della mia, minore, minore della mia!”
“Ti ha dato fastidio, questo? Il fatto che ha scelto le creature anziché te?”
“Si è umiliato in una natura al di sotto della mia, lo capisci? Vedi tu chi è superiore, si è incarnato in una creatura umana limitatissima, corruttibile!”
Anche in questo caso abbiamo tre attori: Dio, Lucifero e la carne umana che l’angelo della luce vide – per la prima volta – come un giocattolo primordiale nelle mani di Dio. Siccome Lucifero ebbe sentore dell’Incarnazione del Verbo nella natura umana, ecco una reazione di furiosa invidia da parte sua, una superbia tale da compromettere l’ordine del paradiso e trasformare l’angelo in demonio. Da allora in poi, fino ai nostri giorni, quest’angelo decaduto mette in atto tutti i tentativi possibili per “possedere” la persona umana, come se fosse un giocattolo da bistrattare, ma non gli riesce del tutto, perché la persona umana è “possesso esclusivo” di Dio. Se Dio è persona, e l’uomo è persona, è chiaro che solo la natura divina – e non una creatura angelica dalla volontà degenerata – può “prendere possesso” dell’anima umana! Quando diciamo che un’anima è “posseduta” da uno spirito, è solo una metafora linguistica. Il demonio, “anti-persona” per definizione, non può “possedere” un’anima neanche se gliela vendo, può solo fare dei penosi tentativi di tipo infantile, adolescenziale, “scimmieschi” (direbbe Sant’Agostino), volendo diventare “come Dio”, per non essere da meno. Del resto, anche tra esseri umani, un “amore di fusione” non è mai esistito, nemmeno nel periodo uterino, perché non è possibile “appropriarsi” dell’altro, a spese dell’altro, manipolando la vita dell’altro.
Gli angeli rimasti fedeli a Dio, nel vedere che anche l’angelo può peccare, provarono un orrore sconosciuto e ne piansero come solo gli angeli sanno piangere. Tuttavia, dopo la notizia-bomba dell’Incarnazione, ce ne fu una seconda che altrettanto repentinamente riportò la calma in paradiso: gli angeli videro Maria nel progetto di Dio, e salutarono la futura regina. Dopo la devastazione dell’odio, ecco un barlume di bellezza, un’umile creatura resa capace di riparare i guasti di tanta superbia.
Se vogliamo comprendere la realtà vertiginosa dell’Immacolata, senza scadere in un banale, stucchevole e improbabile elogio della purezza e della verginità, il punto di partenza deve essere questo. Non per nulla la teologia e la pietà mariana, fin da subito, applicarono a Maria quelle parole che la Scrittura riferisce alla Sapienza personificata, “ab aeterno” presente alla mente di Dio, come un architetto al suo banco di lavoro, come vediamo in questa bella parafrasi: “Fin dall’inizio Dio m’ha posseduta, dall’inizio dei tempi, prima d’ogni opera sua, il mondo ancora non era creato, ma io ero già concepita! Il Signore mi creò nella giustizia, mi prese per mano e mi salvò! Per me le tenebre si trasformano in luce senza fine! Esulto nella gioia del mio Dio, l’anima mia si esalta nel Signore! D’un manto di bontà m’ha ricoperta, come di gioielli s’adorna la sposa! Beato l’uomo che mi ascolta, chi lavora con me non fallisce! Chi trova me, trova la vita, e dal Signore attinge la salvezza!” (1)
Bene. Se davanti all’Immacolata, personificazione del piano divino, anche gli angeli si sono sentiti al sicuro, a maggior ragione lo saremo noi, che sperimentiamo l’inimicizia primordiale ogni volta che ci guardiamo di traverso, per quello che abbiamo e per quello che pensiamo di non avere!
(1) Cfr Nicola Vitone, Novena dell’Immacolata, Edizioni Carrara, Bergamo 1966