Anno B – IV di Avvento (Lc 1, 26-38)
A cura di don Andrea De Vico
“L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe”
Re Davide, al termine della fase turbolenta della sua vita – le sue scorribande da capitano di ventura sono finite – nel momento in cui riesce a unificare le tribù d’Israele in un unico stato, costruisce un palazzo per sé e la sua corte. Poi si siede e pensa a cosa fare: “Io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda”. Gli viene il nobile pensiero di costruire un Tempio, al fine di ospitare degnamente la presenza di Dio in Gerusalemme. Si confida con Natan, il profeta di corte, che approva il progetto: “Fai quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te”.
Nella figura di Davide e Natan, la politica e la religione si accordano per costruire un Tempio, una “casa di Dio”. Quando le gerarchie politiche e religiose decidono di elevare un’opera pubblica “per la gloria di Dio”, gatta ci cova. Ci fu un tempo in cui le città principali di Francia si erano offerte il lusso di costruire una Cattedrale che fosse più bella di quella delle città vicine: “La pietra si fa statua, musica e poesia, e tutto sale su verso le stelle, su mura e vetrate, la scrittura è architettura …” (Riccardo Cocciante, “Il Gobbo di Notre Dame”). In realtà, per tutte quelle costruzioni, non ci fu bisogno soltanto di musica e poesia, ma anche di una massiccia dose di orgoglio, presunzione, e di gente tagliata per speculazioni di ogni tipo. In ogni modo, andiamo avanti: l’abuso edilizio è stato ufficializzato e la prima pietra benedetta.
Per fortuna Dio ha progetti diversi da quelli umani, tali da contraddire il responso favorevole del rappresentante ufficiale della religione. Difatti, la sera stessa, Natan riceve da Dio un secco contrordine da riferire a Davide: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, ti ho messo a capo del popolo, ho sbaragliato i nemici davanti a te, e tu mi vuoi costruire una casa? Sarò io che farò una casa a te!” In che modo?
Ecco, nel momento che Davide avrà compiuto i suoi giorni e si ricongiungerà coi suoi padri – quindi si togliesse di testa l’idea di costruire un Tempio – Dio susciterà per lui un discendente speciale, un Messia Salvatore, uscito appunto dalla sua “casa”, dalla sua famiglia, dalla dinastia che da lui sta per iniziare. D’ora in avanti Israele non guarderà più al passato, ma in direzione di “colui che deve venire” e rendere stabile questo trono “per sempre”. Si è mai visto un regno, un impero o una democrazia restare stabile “per sempre?” No: tutte le organizzazioni umane prima o poi decadono, nell’economia come nell’amministrazione della giustizia. Ma ora, grazie a questo progetto divino, la nostalgia cede il passo alla speranza!
Anche se il figlio Salomone subentra a Davide nel progetto del Tempio, Dio non ha bisogno di case, né di Cattedrali, né di Chiese. Non è possibile circoscriverlo in un tempio o uno spazio, come i francesi, romani e babilonesi si illudevano di fare. Siamo noi che abbiamo bisogno di un luogo da abitare, per riunirci, incontrarci, riconoscerci, cantare, celebrare. Qualche volta, a livello sia gerarchico che popolare, ci appoggiamo allo splendore dei manufatti per aumentare la nostra importanza o per coprire le nostre magagne, ma Dio non vuole questo, non è possibile prenderlo in giro costruendogli una Chiesa o promettendogli un ex-voto: lui vuol abitare la coscienza, la vita dell’uomo!
Veniamo in Chiesa pensando di fare un piacere a Dio, di venire a trovarlo “a casa sua”, di fare delle cerimonie esatte in suo onore, e non abbiamo ancora capito che il realtà il suo piacere è quello di abitare una vita innocente, irreprensibile e pura! Con quale presunzione andremo a dirgli: “vogliamo costruirti una casa?” Come a Davide, potremmo sentirci rispondere: “Voi volete fare una casa a me? Ma sono io che faccio una casa a voi!” Dio può stare anche nel cavo di una mano, nell’occhio di un fanciullo, nei calli di un uomo che lavora la terra, il ferro, l’amianto.
Ci sono persone che, come Davide, prima pensano ai loro lussi e ai loro traffici, poi alla fine si ricordano che avrebbero dovuto avere il desiderio di una “casa di Dio!” Ma la risposta di Dio ai progetti umani si realizza altrove, a Nazareth, a casa di Maria, al di fuori dello spazio sacro del Tempio, in un tempo di assoluta normalità, nella più ovvia quotidianità, quando magari la ragazza era tornata dalla fontana, stava sulla soglia, o stava sbrigando le faccende di casa!