Anno B – Santa Famiglia (Lc 2, 22-40)
A cura di don Andrea De Vico
“Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore”
I sociologi distinguono vari “tipi” di famiglia: naturale, patriarcale, contadina, dinastica, urbana, operaia, borghese, liberale, democratica, estesa (due-tre generazioni insieme), nucleare (padre, madre e figlio), mononucleare (parlano di “famiglia” persino di uno che abita solo a casa sua!). Poi sono in arrivo nuove forme e regole di coabitazione e convivenza tra persone di sesso identico o diverso, che aspirano al riconoscimento dello status familiare. Si direbbe che la famiglia non sia “una”, ma che ci siano “tanti” modelli di famiglia, secondo le varie epoche e culture. In senso metaforico, il concetto di famiglia viene esteso a diverse collettività di persone legate da patti o interessi più diversi: si può “fare famiglia” anche in una comunità religiosa, in una cosca mafiosa, in un comparto aziendale, in un club sportivo, in una redazione giornalistica, ecc.
La famiglia è un gran bene, perché offre ai singoli quei riferimenti e quella continuità di rapporti che li aiuta a costruirsi come persone. Ma ci sono dei tipi di famiglia che storicamente hanno fatto un gran male, quando si sono impossessate delle gerarchie, dei traffici e dei poteri. Pensiamo ai petrolieri del Texas o ai Borgia di origine spagnola che, se da un lato hanno espresso la santità di un san Francesco Borgia, dall’altro hanno alimentato un nepotismo sfacciato infarcito di libertinaggi, amori incestuosi, delitti e appropriazioni di ricchezze, fornendo materiale piccante per una sterminata letteratura nei secoli a venire. Non è dunque detto che le famiglie siano un bene per il solo fatto di essere famiglie. Per questo ci chiediamo: esiste un fondamento unico, che identifica la famiglia come tale? Ci sono dei presupposti obiettivi e sempre validi grazie ai quali si può dire: “questa qui è una famiglia”? La riflessione e la prassi giuridica tradizionalmente consolidata riconosce il “nucleo fondante” della famiglia propriamente detta nella capacità di due soggetti eterosessuati di amarsi reciprocamente e di fondare una comunità di vita e di amore che si trova alla base della società.
Tuttavia sono in atto dei dibattiti che, più che focalizzarsi sui reciproci doveri, scendono pericolosamente la china dei diritti individuali. L’“io” sta diventando più forte del “noi”. C’è un io che si sta prendendo tutto lo spazio, con il risultato che la famiglia, quella vera, si è indebolita, sfilacciata, snaturata, sta diventando una cosa improbabile, un oggetto impossibile, un’impresa improponibile. Persino il bene dei figli, da “dono divino” qual era stimato, tende a trasformarsi in “oggetto di diritto”, e dal cosiddetto “diritto al figlio” alla logica del mercato il passo è breve. Per noi cristiani anche Dio è “famiglia”, tant’è vero che lo chiamiamo “Padre”, “Figlio” e “Amore”. Questo vuol dire che la carne non è sufficiente, per fare una famiglia. Anche le bestie figliano e le mucche allattano, ma non si può dire che facciano famiglia. Per “fare famiglia” persino il sangue non basta: ci sono fratelli di sangue si scannano per un po’ di roba. Per questo è scritto: “se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 126). Gli uomini possono alzare le case di mattoni, le palazzine, gli appartamenti, ma la famiglia è fatta dallo Spirito, è Lui che innalza la casa. Difatti diciamo: “spirito di famiglia”. Per noi cristiani – e non poteva essere altrimenti – il prototipo della famiglia viene dedotto dai Vangeli, nella vicenda di Gesù, Giuseppe e Maria, nella piccola casa di Nazareth. Una famiglia atipica e “strana”: concepimento verginale, adozione legale o putativa da parte di Giuseppe e, per riflesso, una cugina anziana e sterile che ottiene il dono della maternità. Nella piccola famiglia di Nazareth la logica del clan, della dinastia e del sangue viene superata dalla logica dello “Spirito”.
Precisiamo che non è possibile citare la “stranezza” della famiglia di Nazareth per avallare i moderni concepimenti in vitro, le adozioni giuseppine o le inseminazioni artificiali in età da menopausa: siamo in un altro mondo. Per fortuna, quella di Nazareth sa anche essere una famiglia semplice, “normale”. In questa casa non ci sono nervosismi, bronci, visi scuri, rimproveri sottintesi. Giuseppe potrebbe rimproverare a Maria di essere la causa del suo disagio, e Maria rinfacciare a Giuseppe di non saperle dare un maggiore benessere, ma qui ognuno si preoccupa del bene dell’altro. In questa casa si prega. Troppo poco o niente si prega nelle case di oggi, e le persone fanno fatica a ritrovarsi. Si alza il giorno e cala la notte, e ognuno prende una sua direzione, senza un pensiero per il Creatore che ci permette di vedere un nuovo giorno o giungere a nuova notte.
In questa casa c’è frugalità: si mangia per vivere, non si vive per mangiare; si consuma per vivere, non si vive per consumare. La moderazione usata in una data famiglia, per vie che solo Dio conosce, si traduce in sollievo per tante altre famiglie che nel mondo soffrono fame e povertà.
In questa casa si ama il lavoro: si lavora per vivere, non si vive per lavorare. Per chi lavora e torna stanco a casa la sera, il cibo è più buono, il cuore più contento, il riposo più sereno, di conseguenza c’è più affetto, più stima, più rispetto tra le persone. La moderazione nel lavoro si traduce in una migliore distribuzione sociale del lavoro, evitando che i singoli ne diventino schiavi, o che si affannino a conquistare quello che non serve. Quanti stipendi bruciati in cose da niente! In questa casa c’è umiltà. Maria avrebbe potuto avere mille ragioni di insuperbirsi e farsi adorare dal coniuge. Tante donne lo fanno, solo per essere un poco più colte, o di natali più nobili, o di sostanze più ricche dei loro mariti. Maria è Sposa e Madre di Dio, eppure serve, non è che si faccia servire. Giuseppe è il classico “capofamiglia” che ha ricevuto la “custodia” del bene familiare. Se un uomo non sente la responsabilità e non “custodisce” la donna e i suoi figli, che razza di uomo è? In questa casa è rispettato l’ordine. Ordine “soprannaturale”: il culto a Dio. Ordine “morale”: la giustizia nei rapporti, che si riflette nella disposizione dei mobili e delle suppellettili. Ordine “materiale”: la casa, gli oggetti e le vesti sono accolte con gratitudine, benedicendo la mano divina che le fornisce trattandole con rispetto, senza guardarle con malumore perché povere, e senza strapazzarle per procurarsene di nuove, abusando della Provvidenza.
Molti giovani, oggi, fanno fatica ad accettare l’idea e la responsabilità di una famiglia: troppi gadgets sono diventati necessari e obbligatori! In realtà, come una bella festa può riuscire anche con pochi soldi, così, per fondare e mantenere una famiglia, bastano poche cose, e un modello fondato sullo Spirito, come la famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria!