Anno B – Epifania del Signore (Mt 2, 1-12)
A cura di don Andrea De Vico
“Alcuni Magi vennero da Oriente a Gerusalemme e dicevano: ‘Dove è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo’ ”
“Epifania” vuol dire “manifestazione”. Dove si è manifestato il Signore? Nel palazzo del re? Nel Tempio di Gerusalemme? Nel cerchio della Città Santa? No: Egli si è manifestato al di fuori del “sacro recinto”, in un luogo normale, profano, quotidiano. Quando Gesù chiuderà la sua parabola terrena, questo avverrà sul Golgota, sempre al di fuori dello spazio sacro, in un luogo impuro, maledetto, contaminato, riservato all’esecuzione delle pene capitali.
Osserviamo il nostro bel presepio: ci sono case, campi, pastori, avventori, rocce, spazi aperti. Tutte le classi sociali vi sono rappresentate. Tutti si muovono, ci sono alcuni che girano attorno al Bambino, altri che sono attratti dal mercato o centro commerciale dell’antichità. Tutto avviene al di fuori del Palazzo e al di fuori del Tempio. Un’assenza che salta all’occhio: dove sono i capi del popolo? Dove sono i rappresentanti ufficiali del Tempio? Dove sono i politici e i sacerdoti? Nei presepi e nei testi che raccontano il Natale, i sacerdoti o fanno una brutta figura, come il pio Zaccaria che resta muto per la sua mancanza di fede, o stanno in cattiva compagnia, come i Sommi Sacerdoti che stanno nel palazzo del potere. Chi cerca Dio nel Tempio e si rivolge ad un prete, potrebbe anche rimanere deluso. Come nel palazzo di Erode ci sono politici opportunisti, cosi’ nel Tempio del Signore si possono trovare sacerdoti squallidi, compromessi, arrivisti, disturbati.
Infatti, arrivati a Gerusalemme, la stella non splende più, e i Magi perdono la guida. Il loro sontuoso passaggio non resta inosservato, ma se in una città manca la fede, anche l’evidenza dei segni celesti viene oscurata dalla nebbia degli interessi umani. Alla richiesta dei Magi dove si trovi il Bambino, “il Re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Si avvia un’inchiesta, viene nominata una commissione teologica, si riunisce il sinedrio e il consiglio degli anziani, e sui testi sacri si trova che effettivamente un nuovo re dovrebbe nascere e restaurare la casa di Davide, che ai tempi di Betlemme si ritrovava esautorata e decaduta. I notabili della città, alla domanda dei Magi, cominciamo subito a pensar male, hanno paura di cambiare regime, ci andrebbero a perdere, di conseguenza sono tutti ostili a questo bambino. Erode pensa a una concorrenza dinastica, quindi a una strategia per eliminarla.
Nella nascita di Gesù raccontata dai Vangeli vi si scorge in filigrana l’estremo rifiuto che Gerusalemme opererà nei suoi confronti, con la sua morte in croce. Il velo del Tempio si squarcerà: sarà la fine del Vecchio Testamento e l’abolizione dell’ambito sacro. D’ora in poi, tutto quello che avverrà di decisivo sarà al di fuori degli spazi sacri e delle sacre gerarchie, sia politiche che religiose. La nuova fede si fonderà su pastori e pescatori, gente di mestiere. Il cristianesimo più genuino sarà un fenomeno laico e popolare, qualcosa nascerà alla base, anche se storicamente torna difficile spiegare o giustificare la ripresa di antiche parature o categorie da Vecchio Testamento.
Ne consegue che anche l’allestimento di un presepe è un’espressione laica e popolare, non vi è nulla di liturgico o di sacro che possa tradire un interesse gerarchico, cosa che solitamente si esprime in altre direzioni. Il presepe si presta a diversi livelli di lettura, poiché racconta l’evento di una nascita che, volere o nolere, ha cambiato la storia del mondo. Se io ho fede, nel Bambino rappresentato vi scorgo la Parola fatta carne. Se sono uno storico, vi leggo il passaggio dal paganesimo alla nuova religione cristiana (ma sarà vero, con tutti questi cristiani che dopo duemila anni di cristianesimo si rivelano essere più pagani degli antichi pagani?)
Se sono un cosmologo, davanti al presepe posso pensare che il cerchio dell’eterno ritorno delle cose è stato spezzato da un evento lineare grazie al quale il tempo si è storicizzato. Se sono un operatore sociale, nel movimento presepiale provocato dall’Editto di Augusto sotto il governatorato di Quirinio, vi leggo tutte le difficoltà dei migranti costretti a misurarsi coi problemi della cittadinanza. Se poi il presepe napoletano, al pari della pizza, viene riconosciuto dall’Unesco come “patrimonio dell’umanità”, persino i laici più radicali – quelli che rifiutano il presepe a scuola quale indebita espressione religiosa in spazio pubblico – possono mettersi tranquilli, perché il presepe è laico ed è popolare, e si limita ad esprimere i valori di una determinata comunità locale. Anche i non cristiani non avrebbero motivo di offendersi, e difatti fino ad oggi nessuno di loro ha mai detto di essersi offeso per un presepe: ci sono anche i i mori e ci sono i Magi, che rappresentano le tradizioni orientali o gli uomini di ricerca, gli scienziati di allora. Quindi ci sono tutti, la partecipazione è corale, la scena è internazionale, l’inclusione è di regola.
Va be’, lasciamo gli scherzi e chiudiamo sul serio. Nel fondo della questione, dal punto di vista teologico, possiamo ravvisare quella tendenza che gli uomini hanno nel dividere i significati: “questo è sacro, questo è profano; questo è religioso, questo è laico; questo è spirituale, questo è materiale; questo è soprannaturale, questo è naturale”.
Di conseguenza, avviene una dissociazione tra il culto e la vita. Ma Dio non vuole essere rinchiuso in un Tempio, in una Chiesa, o in un sacro recinto. Egli vuole abitare il cuore e la carne dell’uomo, vuole il dono della sua intera esistenza, e non solo quando viene in un luogo “sacro”. Da quando la Parola ha sposato la carne, ogni luogo è buono, e in ogni tempo è contenuta un’opportunità di grazia e di salvezza.
Il nostro presepe in Santa Maria Maggiore è stato tutto questo (foto in alto, ndr).
Esso è stato realizzato con l’apporto di diversi soggetti che hanno operato in quanto parrocchiani, per la Parrocchia, per la comunità locale, che è il tesoro più grande da promuovere e custodire, mettendo a disposizione tempo, competenze e materiali. Non ci siamo smentiti: la coralità del nostro presepe è stata la regola, non solo per il soggetto da realizzare, ma anche per quelli che lo hanno realizzato!