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La sfida dell’Anno nazionale del cibo italiano

2018: la produzione, trasformazione e commercializzazione di cibo in Italia non è solo un fatto di storia, tradizione e immagine, ma anche e soprattutto un fatto economico

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Andrea Zaghi Il 2018 è l’Anno nazionale del cibo italiano. Si tratta di un’occasione che non va sprecata, anzi che va sfruttata in pieno. Partendo da una considerazione di fondo: la produzione, trasformazione e commercializzazione di cibo in Italia non è solo un fatto di storia, tradizione e immagine, ma anche e soprattutto un fatto economico. Il cibo in Italia significa imprese – decine di migliaia – e posti di lavoro – centinaia di migliaia -, e quindi non solo benessere enogastronomico ma benessere a tutto tondo. Anzi, forse solo il cibo rappresenta la sintesi di tutta l’economia, visto che riassume in se’ la produzione agricola, la trasformazione industriale, la distribuzione commerciale del prodotto, l’arricchimento dello stesso attraverso innumerevoli servizi.

Una serie di attività che valgono tutte insieme al consumo oltre 230 miliardi di euro e che riesce a generare esportazioni per 40 miliardi.

Giusto quindi dedicare 12 mesi alla valorizzazione del cibo da due lati: quello economico e quello culturale. Partendo dalla constatazione che il cibo e l’agroalimentare italiani sono i più grandi al mondo. L’annuncio della proclamazione è stato dato da due ministri che contano – Maurizio Martina delle Politiche agricole e Dario Franceschini della Cultura -, che sono riusciti ad unire forze (e risorse) per cercare di dare vita ad una serie di azioni di valorizzazione che dovranno andare al di là della vetrina.

Per ora c’è quanto indicato nella nota congiunta dei due Ministeri. “Si punterà – si legge -, sulla valorizzazione dei riconoscimenti Unesco legati al cibo come la Dieta Mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria, i paesaggi della Langhe Roero e Monferrato, Parma città creativa della gastronomia e all’Arte del pizzaiuolo napoletano iscritta di recente. Sarà l’occasione per il sostegno alla candidatura già avviata per il Prosecco e la nuova legata all’Amatriciana”. E ancora viene precisato che “saranno attivate iniziative per far conoscere e promuovere, anche in termini turistici, i paesaggi rurali storici, per il coinvolgimento e la promozione delle filiere e ci sarà un focus specifico per la lotta agli sprechi alimentari. Lo stretto legame tra cibo, arte e paesaggio sarà inoltre il cuore della strategia di promozione turistica che verrà portata avanti durante tutto il 2018 attraverso l’Enit e la rete delle ambasciate italiane nel mondo e permetterà di evidenziare come il patrimonio enogastronomico faccia parte del patrimonio culturale e dell’identità italiana”. Si promette anche l’avvio dei “distretti del cibo”, con il coinvolgimento di tutti i protagonisti “a partire da agricoltori, allevatori, pescatori, cuochi”.

E forse la sfida sta proprio lì: coinvolgere tutto l’ampio e complesso sistema del cibo in Italia.

Qualcosa che è contemporaneamente produzione ed arte, economia e cultura, presente e storia, maestria produttiva e godimento enogastronomico e poi ancora paesaggio e precisione tecnica, ambiente e condizione umana. Un sistema che ha vissuto periodi di grande conflittualità (basta pensare alle guerre del latte e dell’olio) e ne vive altri di altrettanto grandi difficoltà (è sufficiente ricordare i danni periodici provocati dalle grandi piogge oppure dal gran secco).

Un sistema che ha ancora in sé un buon grado di conflittualità, ma che ci è invidiato davvero da tutto il mondo e che subisce ogni giorno i colpi bassi della concorrenza sleale fatta di falsi alimentari, contraffazioni e alterazioni igienico-sanitarie.

Se l’Anno nazionale del cibo italiano riuscirà a tenere conto di tutta questa grandiosa complessità (dai prodotti tipici alle commodities passando per il paesaggio e la cultura), allora il 2018 avrà colpito nel segno.

Fonte: Agensir

 

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