Home I Sentieri della Parola “Le prime parole” di Gesù. Commento al Vangelo di domenica 21 gennaio

“Le prime parole” di Gesù. Commento al Vangelo di domenica 21 gennaio

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A cura di don Andrea De Vico
Anno B – III per Annum  (Mc 1, 14-20)     

“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea annunciando il regno di Dio, e diceva: ‘Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo’ ”

In questo passo troviamo le prime parole dette da Gesù all’inizio della sua predicazione, sulle rive del lago di Galilea. Parole che traboccano di ottimismo: “il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete”. La prossimità del “regno di Dio / regno dei Cieli” è una metafora per dire che Dio è nel cuore di chi lo accoglie. Al confronto, la predicazione del Battista appare ben più minacciosa e terribile: “Razza di vipere … fate un frutto degno della conversione … Già la scure è già posta alla radice degli alberi … Ogni albero che non da buon frutto viene tagliato …”  (Mt 3, 7-9)

“Convertirsi”: cosa significa? La parola, inventata dagli antichi profeti e usata da Giovanni Battista, fa pensare a uno sforzo interiore, una rinuncia lacerante, un dramma spirituale, un ritirarsi nel deserto o in un convento, un flagellarsi anima e corpo nella penitenza. In realtà, la parola ebraica “conversione” implica il concetto di un “ritorno all’indietro”, di una “conversione a U”, diremmo noi. La “conversione” è quando uno si accorge di essere fuori pista, si ferma, ha un ripensamento, decide di cambiare rotta e riprendere la strada di prima, di tornare al Signore, dopo avere scioccamente seguito le vie traverse degli idoli che si sostituiscono a Lui. In questo senso, “conversione” ha un significato morale, una riforma della propria vita, un “tornare” all’amore di prima. Se per gli ebrei la “conversione” consiste in una via di ritorno, per i greci, che erano più intellettuali, “conversione” fu tradotto con “metanoia”, che significa: “cambiamento di mentalità” “mutamento di pensiero” “rinnovamento interiore”, ma l’idea di fondo è la stessa.

In bocca a Gesù, l’appello alla “conversione” acquista ben altra direzione: non tanto un fatidico o drammatico ritorno all’indietro, per ripristinare una posizione perduta o decaduta, ma un balzo in avanti, un entrare nel regno di Dio, un afferrare la salvezza gratuitamente offerta, senza che ci siano grandi sforzi da parte nostra! Ci viene chiesta la sola fede!

Se Gesù avesse chiesto l’innocenza, uno potrebbe dire: “io non sono innocente, non posso entrare!” Se avesse chiesto l’esatta osservanza dei precetti della Legge, uno potrebbe tirarsi indietro: “io non sono osservante, non posso entrare!” Se avesse chiesto un certificato di purezza o di provata pazienza, uno potrebbe ribattere: “io non sono né puro né paziente, questo Regno non è per me!” E invece no: se io ho fede, ho anche la chiave per aprire la porta, il resto viene da sé. Io non sono salvo perché mi sono convertito, ma mi devo convertire perché sono stato salvato! L’iniziativa è di Dio! La mia fede deve cominciare con il dono, non con il dovere! Per quale motivo vado a Messa, per accogliere un dono, o per assolvere un dovere? Se penso al dovere, potrei anche starmene a casa, tanto non cambia niente.

Nella crescita spirituale di una persona possiamo individuare tre gradi di maturazione. Il primo: grado estetico”. Uno entra in Chiesa, vede l’arte, i suoni, i canti, le cerimonie solenni, sente qualcosa che lo coinvolge, se ne va anche in estasi. Va bene, ma … uno può anche ammirare il Giudizio Universale della Cappella Sistina, e rimanere tale e quale a prima. Uno può anche ascoltare la Messa da Requiem di Mozart, e pensare che la morte non lo riguardi affatto. In questa Chiesa possono venire anche quelli del san Carlo di Napoli a cantare una bellissima Messa, ma poi nella nostra vita comunitaria non cambia perfettamente niente. Anche i camorristi sanno apprezzare la buona musica e vengono a Messa la notte di Natale. La percezione della bellezza potrà anche aiutare, ma in sé stessa non è ancora fede.

Il secondo: grado etico”, quello dell’esistenza morale, delle scelte e dei comportamenti. Una persona moralmente sensibile è portata a pensare così: “devo osservare i comandamenti di Dio … devo applicare la regola della fede … devo essere coerente …” Va bene, ma … col passare del tempo, una persona moralmente attenta incorre nel rischio di un trabocchetto pericoloso: “vedo gli altri che non fanno come faccio io … vedo gente che non viene a Messa la domenica, come me … vedo persone che conducono uno stile discutibile di vita, diversamente da me …” Così comincio a misurare i comportamenti degli altri, li metto a confronto, li giudico, pronunzio sentenze e parole tassative … e siccome quelli non se ne curano, io comincio a minacciare i castighi di Dio e le pene dell’inferno! I predicatori questo facevano! Insomma, in una persona moralmente sensibile, pian piano si insinua l’idea che “io sono nel giusto, gli altri no”. La giustizia si trasforma in ingiustizia, e la morale in moralismo. Anche l’etica può dunque aiutare, ma è ancora lontana dalla fede.

Il terzo grado, quello della Grazia”, è il più … “pericoloso”, per il fatto che il dono gratuito implica l’imprevedibilità della risposta: riconoscimento, indifferenza, rifiuto? Per questo motivo, di fronte a un dono, la prima cosa che si insegna ai bambini è quella di dire “grazie”. In età adulta non è la stessa cosa dare la vita o rifiutarla, offrire l’amore o respingerlo. Figuriamoci se il dono dovesse consistere nella “vita divina”, detta “Grazia” o “dono per eccellenza!” Ci sono persone che, indipendentemente dalla cultura o dai titoli di studio, magari senza pensarci e in tutta spontaneità, vivono la vita come un “dono”, sentono le cose come “grazia di Dio”, “ricevute da Lui”, per cui sono predisposte alla riconoscenza, al contraccambio, e nel momento in cui si sentono interpellate da un’iniziativa divina che si manifesta nella storia, sono portate a “convertirsi”, ad “andare incontro”. La fede nel Regno è questa!

Il senso della bellezza e l’esigenza morale non sono in grado di operare questo cambiamento, al massimo lo preparano. Se uno vuol diventare un bravo artista o un medico di valore, deve semplicemente mettersi a studiare e a praticare la sua arte. Ma se vuol essere cittadino del Regno, deve riconoscere, decidere, convertirsi, reagire al dono di Dio con una risposta di fede! Il Regno di Dio non si “impone”, semplicemente si “propone!”

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