Home I Sentieri della Parola Anche Gesù fu tentanto. Commento al Vangelo, I domenica di Quaresima

Anche Gesù fu tentanto. Commento al Vangelo, I domenica di Quaresima

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A cura di don Andrea De Vico
Anno B – I di Quaresima (Mc 1, 12.15)

“In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto, e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano”.

Gli evangelisti narrano le tentazioni di Gesù in modo diverso. Matteo descrive con una certa ampiezza le tentazioni più collaudate da Satana nei confronti degli uomini: quella del Pane, quella del Tempio e quella del Regno (leggi: Economia, Religione e Politica). Luca riferisce che Satana si allontanerà sconfitto, dopo aver esaurito “ogni specie di tentazione”, senza specificare quali. Marco, con stile asciutto e conciso, dice semplicemente che Gesù fu “tentato da Satana”.

Qualche giorno prima di partire per la sua missione, Gesù era stato riconosciuto al Giordano come “Messia” di un nuovo Regno. Obbedendo a un impulso dello Spirito, egli non si mette subito in azione, ma si ritira in profonda solitudine e silenzio, digiunando, pregando, meditando e lottando. Anche noi non dovremmo mai essere precipitosi nelle grandi svolte della vita, ma farle precedere da un adeguato periodo di preghiera, riflessione e “deserto”. Nella storia ci sono state schiere di uomini e donne che hanno imitato questa attitudine di Gesù nel ritirarsi in preghiera, anzi, molti monaci e santi eremiti hanno fatto solo questo: hanno vissuto tutta una vita di penitenza come una lunga quaresima in preparazione della Pasqua eterna!

Ci sono persone che, per una punta di banale nostalgia di cose mai vissute, desidererebbero ritirarsi in un luogo ameno, in pace, lontano dagli uomini, in un convento sui monti, a cantare le lodi del Signore, come se si trattasse di andare in vacanza agrituristica! Troppo facile ammirare l’aratro a riposo, in un prato fiorito nel mese di aprile! In realtà il deserto non è un posto tranquillo, anzi, stando al racconto degli evangelisti, si tratta di un luogo alquanto affollato, non c’è tempo per stare in pace. Prima di tutto abbiamo la bella compagnia delle bestie selvatiche, che nell’allegoria dei Padri sono le passioni, faticosamente ammansite dall’uomo spirituale. Poi c’è Satana, con tutto il suo corteo di spiriti maligni. Il servizio degli angeli rappresenta il meritato riposo del guerriero al termine della sua fatica, dopo aver superato la tentazione.

L’uomo moderno vive una sorta di “intossicazione” dello spirito, per eccesso di luci, di rumori, di suoni, di parole. Ci siamo ubriacati di chiasso. L’ordine è quello di evadere, distrarsi, uscire, spostarsi, viaggiare, divertirsi, che poi si risolve in un miserevole “uscire da sé stessi”, dalla propria realtà, dalle proprie responsabilità. Allontanandoci da noi stessi, siamo diventati degli “alieni” o, per meglio dire, degli “alienati”, delle persone che non stanno bene né a casa propria, né altrove, come gente senza identità. Inviamo delle sonde alla periferia del sistema solare, e non sappiamo niente di quel che c’è nel nostro cuore.

La letteratura, lo spettacolo e il mercato del divertimento non conoscono crisi. “Evasione”, in inglese, si dice “fiction”: è tutta una finzione, ma molti finiscono per confonderla con la realtà. Anche i “reality” non sono per niente reali: sono finti, falsi, artefatti, fatti ad arte. Così noi permettiamo a immagini malsane di entrare a casa nostra, con tutto un carico di seduzione, di malizia e di violenza, che nutrono i nostri peggiori istinti e aizzano la furia delle bestie selvatiche che sono dentro di noi. Divoratori di immagini, stiamo riducendo la nostra anima a immondezzaio rovistato da ogni specie di insetto o animale immondo, come la Geenna, la pubblica discarica della Gerusalemme del tempo di Gesù.

La cinematografia hollywoodiana, fortemente imbevuta di Antico Testamento, rappresenta gli alieni, creature d’altri mondi, con dei tratti manifestamente diabolici. Gli esempi sono tanti, basta vedere i protagonisti e gli antagonisti di “Stargate” “Matrix” “Alien” “Event Horizon” … in realtà gli stessi registi che curano le scenografie, nel fare il loro lavoro, si accorgono che l’alieno non è uno che viene dagli spazi siderali profondi, ma l’alieno è dentro di me, sono io, me lo costruisco io con i miei pensieri, le mie passioni, le mie frequentazioni. Se Marco scrivesse oggi il suo vangelo, è probabile che invece della tradizionale parola “Satana” (l’Oppositore), userebbe quella di “Alieno” (l’Estraniatore). Satana, nemico esterno, è relativamente più facile da affrontare, ma quando il nemico è interno, alienante, nel senso che mi svuota della mia identità e mi fa diventare un “Altro”, diventa molto più difficile! Ecco la massima tentazione dei nostri giorni: stiamo abdicando la nostra identità, la stiamo consegnando ad altri, la stiamo svendendo sui social, stiamo diventando estranei a noi stessi!

“Alieno” infatti può essere tradotto anche con “Altro”, colui che è “Altro” da Dio. Satana è l’Alieno per eccellenza, colui che ad ogni progetto o parola di benedizione che Dio pronuncia, oppone la sua. Questo succede anche in politica: se l’amministrazione attuale mette una pietra all’angolo del paese, dove la mette mette – ci vorrà pur sempre qualcuno che la metta – immancabilmente ci sarà qualche altro che dice: qui non sta bene, meglio metterla un poco più in là. Ecco l’alieno, uno che non sa stare al posto suo e vuole spostare pure gli altri, per il fatto che non sopporta gli altri che sanno star bene al posto loro.

L’Alieno, o Satana, è in ciascuno di noi, nei nostri pensieri, e lo dobbiamo combattere come ha fatto Gesù, con una bella quarantena dello spirito, un bel digiuno lontano dai rumori, dal chiasso e dalle trasmissioni inutili come le fiction, i social e i reality. Si tratta di creare uno sbarramento, un filtro, un setaccio per dire alle nostre suggestioni e pensieri: tu entri, e tu rimani fuori! Solo così possiamo entrare in contatto con le sorgenti del nostro essere!

Diceva san Francesco che noi abbiamo un eremitaggio sempre con noi, ce lo portiamo ovunque andiamo, una sorta di “eremo portatile” nel quale ci possiamo rinchiudere senza dare troppo dell’occhio, anche quando viaggiamo in un luogo affollatissimo. Quest’eremo è il nostro corpo, e tutto il segreto consiste nel “rientrare in noi stessi”, filtrando suoni, immagini e parole.

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