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Dragoni. San Ferdinando, capolavoro di legno e argento in una tesi di laurea

La statua del Santo, che si trova nella chiesa dell'Annunziata di Dragoni, è oggetto della tesi di laurea di Salvatore Squillante, giovane studioso di storia e tradizioni locali

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A sinistra statua lignea del Santo, conservata nella chiesa di San Sebastiano di Alvignano; a destra, la statua lignea con volto in argento presente nell’Annunziata di Dragoni

Salvatore Squillante, classe 1991 e originario di Sarno (Sa), si laurea presso l’Università degli Studi di Salerno in Storia e Critica d’arte presentando una tesi incentrata sulla scultura napoletana del ‘700, in particolare su Gaetano e Pietro Patalano, fratelli campani, fautori dello sviluppo della statuaria lignea. Il lavoro di Salvatore, frutto dello studio ma soprattutto di una passione notevole per la storia locale, dedica un interessante approfondimento alla statua di San Ferdinando d’Aragona del 1716, realizzata da Pietro Patalano in collaborazione con l’argentiere Francesco Cangiani, e destinata alla chiesa dell’Annunizata di Dragoni.

Riportiamo la recensione pubblicata da OADI (*)

Tra fine Seicento e inizio Settecento a Napoli ci fu un notevole sviluppo della statuaria lignea e delle botteghe che la producevano. Statue policrome di diversa grandezza, sia di carattere religioso che profano, erano molto richieste nel Viceregno e in Spagna anche per uso ornamentale. Si era molto arricchita e perfezionata, inoltre, l’arte dei presepi che si andavano popolando di nuovi personaggi di diverse dimensioni. Tra le botteghe che operarono a Napoli nella seconda metà del Seicento ci fu quella di Pietro Ceraso e dei gemelli Perrone. In questo contesto si inserisce la figura dello scultore Pietro Rocco Patalano (1664-1737?) che, insieme a quella del più noto fratello Gaetano, contribuirono allo sviluppo della statuaria lignea. La prima indicazione biografica su tali artisti si trova nella guida della città di Napoli del Parrino il quale, descrivendo la chiesa del Rosario di Lacco, sull’isola d’Ischia, afferma che vi era una «Vergine Assunta ed un Crocifisso molto belli di legno coloriti di Gaetano Patalano stimabile scoltore in legno di detto paese». Qualche decennio dopo il De Dominici scrivendo degli scultori Aniello e Michele Perrone, afferma che essi «ebbero vari discepoli, ma i migliori furono Gaetano e Pietro Patalano, de’ quali Gaetano fu il migliore, benché Pietro fusse ancor egli buono scultore e varie opere per la Spagna egli fece unite a quelle di Gaetano, per varie chiese del Regno mandarono loro lavori […]». Fondamentale nel tracciare le fila della loro vicenda critica è il rapporto con la Spagna, in particolare con Cadice dove ancora oggi si può ammirare il gruppo scultoreo dell’Incoronazione della Vergine.

Salvatore Squillante (foto Facebook)

La fortuna delle loro opere nella penisola iberica è attestata già nel corso del Settecento dagli studi di eruditi quali Pons, De Urrutis, Peman, Pasco e Lopez Jimenez. Il Giannone nota che i due fratelli «operarono a Napoli, ove a quei tempi s’usavano de scrittoj con vetri, e dentro statue di Santi e cristalli avanti», lasciando supporre che i Patalano, come altri scultori, si dedicassero anche alla plastica di piccolo formato. Di particolare importanza è il testo di G. Borrelli che costituisce il primo contributo sulla personalità artistica dei Patalano e contiene un regesto completo delle opere e un loro profilo biografico. Il catalogo del fratello minore Pietro, si incrementa nel 1985 di documenti inediti presentati dal Rizzo, relativi alla produzione di alcuni scultori lignei napoletani del tempo. Ad Agostino Di Lustro si deve la prima e unica monografia dedicata interamente all’attività di Gaetano e Pietro Patalano, corredata dal contribuito di G. Borrelli sull’interrelazione tra la famiglia Patalano e Perrone. Il Di Lustro, inoltre, pubblica anche una serie di documenti relativi a opere non ancora rintracciate con certezza. Alcune novità emergono nel volume di G.G. Borrelli dove lo studioso trattando di scultura menziona anche Pietro, conferendo all’artista l’inedita Annunciazione di Roccanova. Anche nel catalogo della mostra Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e la Spagna si trova un’ampia trattazione della statuaria lignea. Le opere presenti in Puglia relative alla fine del Sei e l’inizio del Settecento, come è noto, sono prevalentemente di produzione napoletana e più precisamente appartenenti alle botteghe del Patalano, del Fumo e del Colombo che operarono a Napoli in quegli anni. Altre novità emergono dal testo pubblicato dalla Di Liddo dove la studiosa, prima di presentare i casi inediti emersi su Gaetano, dedica un capitolo ai fratelli Patalano inserendoli tra i discepoli di Aniello Perrone, e fa un excursus delle opere documentate, quelle esistenti e quelle attribuite. Se dalle ricerche della Di Liddo non emergono notizie sull’attività di Pietro Patalano, dal catalogo della mostra Sculture in legno in Calabria dal Medioevo al Settecento si possono riscontrare novità in ambito calabro, in particolare a Spezzano Piccolo dove Pietro, in età avanzata, realizza l’Assunta e il busto della S. Teresa.
Gli apporti precedenti hanno consentito di definire i profili biografici dei due fratelli. Originari di Lacco Ameno sono stati entrambi a bottega dai Perrone amici e parenti dei Patalano. Gaetano, di nove anni più grande di Pietro, aprì una propria bottega nei pressi del Regio Palazzo Vecchio, vicino al Maschio Angioino, dove sicuramente lavorò anche Pietro. Al periodo della loro attività risalgono i rapporti con altri scultori in particolare l’Ardia e il De Simone. Successivamente, alla prematura scomparsa di Gaetano, è molto probabile che Pietro abbia ereditato la bottega continuandone l’attività. La produzione artistica di quest’ultimo trova riscontro oltre che in Spagna, in tutto il Viceregno e in particolare in Terra di Lavoro. Al 1716 risalgono due polizze che prevedono l’esecuzione, per il prezzo di sessanta ducati, di un San Ferdinando d’Aragona a mezzo busto commissionato da Francesco Di Grazia per la città di Dragoni. Queste polizze forniscono dati interessanti sulle dimensioni e le altre caratteristiche dell’opera: il Santo doveva essere alto quattro palmi ca., con la base e il pastorale ma senza la testa, le mani e il reliquiario (da sistemarsi sul petto) dovevano essere in argento ed erano «in potere di detto Pietro a chi sono state consegnate da esso Francesco a fine di doversi fare detta statua a proportione […] secondo la forma del disegno sottoscritto da detto Pietro che da esso si conserva» e «quale statua e pedagna doverà consegnarla colorita, et indorata, e fiorata cioè panneggiamento piviale con fascia indorata a modo di rigamo, e stola e pastorale tutta indorata il camise miniato arricciata con la baretta. Il Santo è stato individuato nella seconda cappella a sinistra nella chiesa della SS.ma Annunziata di Dragoni. L’opera corrisponde perfettamente alle indicazioni contenute nei documenti.  Il San Ferdinando si mostra in atto benedicente, con il pastorale nella mano sinistra e la mitra, tipici attributi della sua carica vescovile. Ha il volto e le mani in cartapesta rivestita da foglia d’argento mentre la mitra, anch’essa in cartapesta, è solo dipinta . Gli stessi non sono da considerarsi inerenti a quelli menzionati nel documento del 1716 ma legati ad una commissione successiva avvenuta probabilmente in seguito ad un tentativo di furto. In realtà, lo stesso reliquiario, che doveva essere in argento, è compromesso da rifacimenti novecenteschi e si presenta oggi in legno dipinto sovrapposto a un pezzo di multistrato. I pezzi originari in argento  sono stati rintracciati presso la sede della diocesi  di Alife-Caiazzo di Dragoni, con sede a Piedimonte Matese, dove essi vengono custoditi in cassaforte e resi fruibili soltanto una volta all’anno in occasione della processione del Santo. L’individuazione dei manufatti argentei aggiunge ulteriori elementi alla commissione. I pezzi, di buona fattura e in ottimo stato di conservazione, recano ciascuno i seguenti marchi: bollo dell’argentiere (F+C), bollo della corporazione o dell’arte (NAP coronato/ 711) e bollo consolare (F·C/·C·). La loro identificazione ha permesso di risalire, non solo alla data, ma soprattutto all’esecutore materiale. Si tratta dell’artista Francesco Cangiani, appartenente ad una nota famiglia di argentieri, di cui fanno parte Giuseppe, Nicola e Luca. Francesco, come specificano le punzonature sulla testa e le mani, realizzò le opere nel 1711 e nello stesso anno fu anche console. Sulla sua attività, documentata dai Catello, non abbiamo molte informazioni e non conosciamo nemmeno quale scultore o pittore eseguì i disegni e i modelli in creta per la realizzazione dei tre pezzi. Sappiamo che fu console anche in altri anni, tra il 1692 e il 1718, e il suo bollo è stato rilevato su alcune opere in raccolta privata ad Andria, Genova e Milano, su un ostensorio nella Cattedrale di Teano, su una navicella a Firenze in raccolta privata, su un frammento nella Cattedrale di Capua, su una coppia di candelieri sempre in raccolta privata e su un calice nella collezione “De Ciccio” del Museo Nazionale di Capodimonte. È interessante sottolineare come altre effigi del Santo, simili alla statua del 1716 del S. Ferdinando d’Aragona realizzata da Pietro Patalano in collaborazione con l’argentiere Francesco Cangiani, si trovino in paesi vicini, realizzate da artisti diversi. Ad Alvignano, la statua, collocata nella chiesa di S. Sebastiano, risale ad un periodo successivo, a Caiazzo, il mezzo busto del santo , collocato nella Cattedrale, fu realizzato interamente in argento dall’orafo Matteo Treglia nel 1706. Queste due effigi reggono nella mano sinistra, oltre il pastorale, anche il libro (altro attributo della carica vescovile del santo). In quella realizzata dal Patalano, invece, la mano è predisposta a reggere solo il pastorale senza il libro. È possibile ipotizzare che Pietro, nel costruire la statua, si sia dovuto adattare ai pezzi che gli erano stati consegnati dal committente e cioè quelli realizzati dall’argentiere Francesco Cangiani. L’opera oltre a inserirsi tra quelle non documentate dell’artista, è testimone della collaborazione tra scultori lignei e argentieri che molto successo riscosse nel corso del Settecento. È il caso di fare qualche confronto con alcune sculture dello stesso tipo cioè busti che venivano utilizzati prevalentemente nei riti processionali. Tra tali opere va segnalato il busto di S. Teresa dello stesso Pietro realizzato nel 1724 per la chiesa madre di Spezzano Piccolo e quelle del fratello maggiore realizzate nel 1694 ca. per la cattedrale di Lecce: il San Fortunato e il San Giusto  che Pietro avrà senz’altro visto nella bottega di Gaetano dove anch’egli lavorava. Dei due santi, realizzati da Gaetano in legno dipinto e argentato, il San Fortunato è quello stilisticamente più vicino al San Ferdinando d’Aragona: le stesse posture della mano destra in atto benedicente e della sinistra che regge il libro e il pastorale, quest’ultimo ripreso fedelmente da Pietro nel suo San Ferdinando. Si può notare anche la stessa morbidezza del panneggio specialmente nella parte che ricade sulla base delle due statue. È possibile fare un altro confronto con il busto di San Donato di Nicola Fumo che questi realizza per la chiesa del convento di Sant’Antonio a Salandra molti anni prima rispetto alle opere poc’anzi citate. Pietro avrà sicuramente tenuto presente il San Donato con il pastorale nella mano destra, vestito con gli stessi paramenti: il camice, il piviale e la stola. Il piviale, annodato sul petto, presenta le stesse soffici pieghe che ricadono sulle braccia e così anche il camice bianco presenta le stesse fitte ondulazioni. Una importante differenza è nella posizione della stola che nel San Donato scende libera sopra il camice fermato in vita da una corda mentre nel San Ferdinando anche la stola viene stretta con il camice dalla corda.
Le evidenti affinità con sculture di altri artisti suoi contemporanei ci fa ritenere che Pietro doveva conoscere le loro opere o per lo meno i modelli che le avevano ispirate. Non c’è nessun documento che attesti la presenza di Pietro in botteghe diverse da quella del fratello ma è molto probabile che egli abbia conosciuto e avuto rapporti con le maestranze delle numerose attività che in quel periodo erano attive a Napoli, capitale del Viceregno. Allo stato attuale delle ricerche è documentato solo il rapporto di collaborazione tra Pietro e l’argentiere Francesco Cangiani. Non è escluso che il prosieguo delle ricerche faccia emergere documenti che comprovino l’esistenza di altri scambi tra gli artisti del tempo.

(*) Rivista dell’Osservatorio per le Arti decorative in Italia

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