“Stasera il Signore ci dà la gioia di sentirci Chiesa, di sentire che la nostra comunità cristiana ha dei doveri verso la gente e che la gente ha diritto di ricevere il lieto annuncio da noi, perché ha bisogno di essere sanata, guarita dalle sue ferite, dai suoi mali, dalle brutture della violenza e dell’egoismo”.
Messa crismale per tornare a parlare di impegni, dell’importanza di esserci come modelli e testimoni senza “sfilarsi” dalle situazioni che chiedono l’impegno di credenti testimoni.
Mons. Valentino Di Cerbo ha parlato ad una Cattedrale gremita di persone giunte da ogni parrocchia della Diocesi per partecipare ad uno dei momenti più intensi della vita comunitaria: la celebrazione in cui Vescovo, sacerdoti, religiosi, fedeli, ciascuno secondo la propria chiamata nella chiesa e nel mondo ritornano, alle radici, alle vere responsabilità nelle forme concrete dell’amore e del servizio.
In che modo?
Mons. Valentino Di Cerbo, ha invitato a scorgere ed afferrare la risposta, ad individuare il come di questa missione nella parola di Dio proclamata durante la celebrazione che ricorda ad ognuno la missione alla quale si è chiamati: portare il lieto annuncio, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, consolare gli afflitti. Le parole del profeta Isaia, nella prima lettura, anticipazione del Vangelo di Luca in cui Gesù ridisegna per se stesso la stessa missione di responsabilità non lasciano spazio a possibilità di tentennamenti, ma – come più volte ha ripreso il Vescovo durante l’omelia – chiedono passione costante, che si accompagna ad una consapevolezza, quella di essere la Chiesa voluta dal Signore, “la Sposa amata (…) che stasera è qui e gioisce, si confronta perché desidera piacere al Signore, essere così come egli la vuole (…), uniformata a Cristo del quale siamo il prolungamento, uniti a lui per mezzo dello stesso Spirito che ci invita ad essere speranza per gli uomini e le donne del nostro tempo”.
Provocazioni per tutti, per trovare il coraggio anche immediato di rivedere questa chiamata se non attraverso una seria introspezione: “Chi siamo noi? Chi sono io vescovo? Chi è ogni fedele? Chi sono i sacerdoti di questa Diocesi? Chi sono le persone che si affdano a Gesù e seguno il suo vangelo? Persone chiamate a ridare gioia e bellezza, a ristabilire umanità vera, persone chiamate a sanare, a riportare al sogno di Dio la Storia nonostante le ferite, le brutture, i peccati…”
“Questo Dio che non si arrende e manda suo Figlio, non si da pace finchè i suoi figli non sono felici perchè sono i suoi figli…”
Sguardo posato sui volti, le esperienze, i nomi di un’intera comunità in cui sacerdoti, religiosi e laici ininterrottamente nella storia non hanno smesso e non smettono di servire il Regno: il Pastore ha citato le fatiche, la lentezza del procedere, quella degli uomini così come quella di Gesù Cristo che tuttavia conduce nella giusta direzione, perché sospinta dallo Spirito.
Mons. Di Cerbo, ha indicato alcuni atteggiamenti, alcuni “segni” per essere davvero il prolungamento di Cristo: la gratitudine che ci mette in relazione con Dio attraverso le domande “Signore proprio a me? Proprio io a dare parole di speranza? Proprio io ad aiutare i fratelli?”. In questo tentennare il Vescovo ha invitato a prendere il coraggio che supera ogni paura perchè “il Signore è presente nella Chiesa e cammina con noi” (…) Poi l’atteggiamento dell’umiltà: “tutte le complicazioni, le liti, i peccati che commettiamo bloccano il fluire dello Spirito nella storia che porta vita come un fiume d’acqua viva” fermano e frenano l’amore di Dio attraverso il peccato perché “non guardiamo a Gesù e non ci rendiamo docili allo Spirito”.
Riflessione che trasversalmente ha coinvolto l’intera assemblea: i sacerdoti, i religiosi, i giovani, le numerose coppie presenti; per i primi, i ministri di Dio, un incoraggiamento, la sollecitazione “a guidare il popolo accanto al vescovo”, ad essere fedeli, a considerare la grandezza della propria missione…
“Un giorno per chiedere perdono dei peccati, e un giorno per dire grazie al Signore” ha poi proseguito allargando lo sguardo al cammino degli ultimi anni della Chiesa di Alife-Caiazzo – dalla Visita pastorale al Sinodo – in cui si sono innestati i semi di nuove e buone relazioni, esperienze di fede e di preghiera, confidenze e sogni personali di molti giovani di cui oggi Mons. Di Cerbo, da pastore premuroso, ne è il custode.
E in ultimo l’immagine dell’olio in cui il Vescovo ha racchiuso il senso della missione nuovamente affidata alla sua Chiesa: “lo riceviamo questa sera per diventare anche noi medicina e balsamo di Dio, annuncio che il bene è possibile”.
La Chiesa, la sua essenza, il “noi” che in più occasioni Mons. Di Cerbo richiama quale stile necessario e imprescindibile si è poi manifestato nei gesti della liturgia: prima l’abbraccio di pace tra il Vescovo e i suoi sacerdoti, poi l’offerta degli olii da parte di famiglie in attesa di un figlio o un figlio da battezzare (catecumeni); da parte del circolo della Terza età di Alife e dell”associazione Papa Francesco (infermi); e in ultimo l’olio (crisma) portato dai diaconi don Paolo e don Alessandro che saranno ordinati sacerdoti, accompagnati da giovani del catecumenato crismale che stanno seguendo nel cammino in preparazione alla cresima.