Home I Sentieri della Parola Eucarestia, pane e libertà. Commento al Vangelo di domenica 5 agosto

Eucarestia, pane e libertà. Commento al Vangelo di domenica 5 agosto

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Anno B – XVIII per Annum (Gv 6, 24-35)
A cura di don Andrea De Vico

“Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati’ ”

Dopo la moltiplicazione dei pani, per sfuggire all’entusiasmo della folla, Gesù si trasferisce all’altra riva del lago, ma la gente capisce, lo segue, e il giorno dopo lo ritrovano a predicare nella sinagoga di Cafarnao. Al loro arrivo si instaura un dibattito vivace, il cosiddetto “discorso sul pane di vita”. L’atteggiamento di Gesù verso quella gente è ambivalente. Da un lato egli prova una profonda compassione per loro, li vede come come pecore senza pastore”, e compie il miracolo del pane. Ora egli mostra di non accettare i facili entusiasmi, e mette a nudo i veri motivi che spingono la gente a cercarlo.

Essi si presentano con una domanda molto banale: “Maestro, quando sei venuto qui?” Sembra quasi che vogliano dare importanza a sé stessi: “non vedi quanta strada abbiamo fatto per venire a cercarti?” Gesù ignora la domanda, e dichiara senza mezzi termini che sono venuti a trovarlo per il solo fatto che il giorno prima si sono riempiti la pancia! Difatti a quel tempo la gente si aspettava un Messia che avrebbe ripetuto il gesto di Mosè, quello di far scendere “la manna dal cielo”. Di fronte al “segno” fatto da Gesù, essi dovettero pensare: “ecco l’uomo che fa per noi, prendiamolo e facciamolo re, così risolviamo una volta per tutte i nostri problemi alimentari”, proprio come aveva fatto Mosè nel deserto, con un popolo sfiancato da una lunga marcia. In effetti, nella pagina precedente è scritto: “… la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: ‘Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!’ ”

Gesù prende la palla al balzo e prepara una risposta complessa sulla base dei fatti relativi a Mosè. In politica sappiamo come vanno le polemiche: se conosciamo gli avversari, sapremo cogliere tra le righe un’infinità di particolari che a prima vista sfuggono: “volete parlare di Mosè? vi do io il ben servito!” Ecco: ci fu un momento quando il popolo, liberato dalla schiavitù del Faraone d’Egitto ma stanco del viaggio, cominciò a mormorare: “Fossimo morti nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà!” (Es 16, 2) Il Signore fece cadere le quaglie e la manna, ma non bastò: essi si stancarono di nuovo e cominciarono a rimpiangere “le cipolle d’Egitto!” Come dire: meglio una pentola piena, che un’ardua libertà.

Gesù identifica la generazione dei padri alla sua contemporanea, cosa peraltro implicitamente ammessa dagli stessi interlocutori. Non c’è differenza tra gli antichi padri che conobbero Mosè e gli attuali discendenti, ottocento anni dopo. Con questo, Gesù insinua l’idea che “come non capirono quelli al tempo di Mosè, così ora non capite voi, gente dalla testa dura! Il passaggio è brusco: “Datevi da fare – mettetevi all’opera – non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna … Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? … Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato In altre parole: “Dite che volete fare la volontà di Dio? Credete in me!” La fede nella sua persona prima di tutto! Il passaggio è di capitale importanza, per tutte le forme di cristianesimo: la salvezza non dipende da una serie di osservanze, di tradizioni, di pratiche, di leggi, fossero pure quelle di Mosè. La salvezza è nella sua persona: è lui il pane vivo disceso dal cielo! E’ lui che per primo ha compiuto l’opera di Dio: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato!” (Gv 4, 34)

L’affermazione è sconcertante: Quale segno … quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto”. Gesù ribatte: “I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti …” Il segno di Mosè e quello di Gesù è lo stesso segno, ma quello fu un pane è per la morte, quest’altro per la vita.

Anche oggi la nostra generazione assomiglia a quei giudei che entrarono in conflitto con Gesù. La gente preferisce la roba che avanza dalla tavola dei ricchi, al semplice cibo faticato e raccolto in tutta libertà. Meglio una pentola piena, che un’ardua libertà. Nel mondo ci sono pochi ricchi e tanti poveri non a motivo dei padroni che tendono ad accaparrare tutto per sé, ma per colpa della mandria di servi che li segue, disposta a vendere la propria libertà per una pagnotta di pane. Quando le persone stanno in difficoltà, è facile che si vendano per un niente. La libertà è un esercizio difficile, costoso. Le persone libere sono rare. Il discorso sul pane di vita, quello che noi chiamiamo “eucarestia”, chiama in causa e implica la stessa libertà dell’uomo.

Noi ci facciamo la comunione e ci sentiamo dei bravi cristiani che hanno assolto il loro dovere, ma in realtà non ci siamo posti la domanda capitale: com’è che mangio il mio pane? da dove viene il pane che do ai miei figli? mica mi sono venduto a qualche Faraone, per poter mangiare questo pane? sono libero di mangiare il mio pane? e questo sistema mondiale di distribuire il cibo, offre alle popolazioni anche la possibilità di servirsene in tutta libertà?

Ci sono folle di “fedeli” che cercano la soluzione dei problemi immediati e lasciano irrisolti quelli capitali. C’e una religione dei miracoli che cerca dei segni forti, e c’è una religione che si limita all’apparato digerente, ai bisogni elementari della vita, ma Gesù delude brutalmente tutti. La gente lo cerca per il pane, ma trovano un Messia molto diverso da quello che si aspettavano, uno che scandalizza e disorienta, uno da riconoscere e accogliere nella fede. Lo vedremo nel prosieguo della polemica, domenica prossima.

 

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