Home Chiesa e Diocesi #SiamoQui. I giovani chiedono che la Chiesa li ascolti

#SiamoQui. I giovani chiedono che la Chiesa li ascolti

I giovani ce la mettono tutta, ora tocca alla Chiesa. Nei mesi passati, in preparazione al Sinodo sui giovani programmato per ottobre anche la Diocesi di Alife-Caiazzo ha avviato percorsi formativi necessari a dare il contributo per i prossimi lavori. Presente in Diocesi, a parlare ai nostri sacerdoti, don Michele Falabretti, autore dell'articolo

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Don Michele Falabretti, Responsabile Servizio nazionale per la Pastorale giovanile parla all’indomani dell’evento che ha portato a Roma 90mila giovani da tutta Italia al termine dei percorsi diocesani durati un anno intero in cui i gruppi hanno lavorato e preparato il prossimo Sinodo dei Vescovi voluto da Papa Francesco, dedicato proprio a loro.
Quelle del sacerdote sono parole commosse, ma anche espressioni che interrogano la Chiesa di preti e di educatori più adulti; sono parole che rilanciano il bisogno insito dei giovani italiani o del mondo: quello di essere ascoltati. Ecco perchè il grande evento romano porta con sè lo slogan  Siamo Qui (che è anche un hashtag), proprio come la richiesta di essere identificati, e considerati, ma anche il grido di gioia di chi ha confermato la propria presenza a Roma dopo i pellegrinaggi delle scorse settimane verso la Città eterna per l’incontro con il Papa al Circo Massimo e in Piazza San Pietro (leggi il bilancio dei due incontri)

Lo confesso: mi sono commosso. Sabato sera ero seduto accanto al Papa, durante la veglia. Ne ero spaventato e impaurito, fino a quando non è arrivato e ha messo tutti a suo agio. Ma la commozione è venuta dopo: quando il coro ha intonato “Proteggi tu”, l’inno scritto in occasione di questa esperienza. Sul monitor, intanto, scorrevano le immagini dei cammini. Lì è stato difficile trattenere le lacrime. Perché l’Italia non si governa: lo dicono tutti in molti modi. E che attorno a questa richiesta un po’ folle si raccogliessero così tante realtà e territori, era difficile da credere. Pur non avendo mai smesso di farlo, c’è stato un momento in cui ho pensato che tutto potesse squagliarsi come un ghiacciolo nel pomeriggio del Circo Massimo di ieri.
È stato faticoso rimanere seduto in “cabina di regia”: vedendo le immagini durante la settimana dei cammini, mi saliva la voglia di essere da un’altra parte. Avrei voluto essere sulle strade dei pellegrini e vivere con loro l’esperienza.
Nel frattempo, cresceva l’impressione che stava per succedere qualcosa di importante: un po’ come si vede crescere un’onda da lontano durante un giorno di mare grosso.
La previsione era facile: senza sapere esattamente cosa sarebbe successo, mi dicevo che il clima sarebbe stato particolare, diverso. Sentivo che tutti questi giovani pellegrini avrebbero portato e regalato a Roma qualcosa di speciale. È facile veder camminare giovani delle regioni più fresche e di montagna; non è un’idea così nuova quella di farli camminare. Ma che questo accadesse – davvero! – da nord a sud; che questo muovesse i passi di regioni finora ritenute impossibili e inadatte a un pellegrinaggio: questa è davvero una novità che ha scaldato il cuore di pellegrini di esperienza e di moltissimi giovani che affrontavano la strada per la prima volta.
È successo qualcosa di nuovo e di straordinario: sono nate relazioni e legami, le pastorali diocesane hanno dovuto fare la fatica di pensarsi e di organizzare, muovendo energie che solo gli incontri tra le persone sanno far nasceere. È molto diverso dal decidere di partecipare a un grande evento dove tutto è organizzato.
Per questo la serata di sabato è stata davvero magica. Non ho ancora avuto il tempo di rivedere le immagini, ma credo di aver percepito una certa emozione anche nel Papa quando il suo sguardo si è perso nel fondo di quel catino dove luccicavano le luci di chi era rimasto più indietro. A lui, Papa Francesco, dobbiamo un ringraziamento davvero grande: nella fatica e nel caldo di un pomeriggio del genere, è arrivato senza fretta, ha ascoltato con pazienza e attenzione, ha modificato i suoi pensieri non in base alle parole che aveva ascoltato, ma per il modo con cui erano state pronunciate le domande dei giovani. Segno di una grandissima disponibilità all’ascolto che è proprio ciò che i giovani chiedono alla Chiesa di oggi.
E vorrei dire, per concludere, che sentivamo il bisogno di un momento di Chiesa così, dove tutti si sono sentiti a casa perché
camminando insieme è possibile non lasciare indietro nessuno.
Non sarà facile tornare a casa, ma sarà bello sapere che la Chiesa non smette di accoglierci per farci sentire attesi dal Signore Gesù.

Fonte Agensir

INTERVISTA. Il prete ideale per i giovani? Uno che ascolta prima di dare risposte. Parla don Michele Falabretti

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