Home I Sentieri della Parola Eucaristia, anticipo di Eternità. Commento al Vangelo di domenica 19 agosto

Eucaristia, anticipo di Eternità. Commento al Vangelo di domenica 19 agosto

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Anno B – XX per Annum (Gv 6, 51-58)
A cura di don Andrea De Vico“In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita”

Nella prima pagina lettura la Sapienza personificata si costruisce una casa, prepara un lauto banchetto e lancia un invito per le piazze: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato” (Pr 9, 5). Ma il suo cibo non seduce, e la sua casa è frequentata ancora meno. C’è una sfacciata concorrente che ha aperto il suo locale proprio all’altro angolo della strada: “Venite da Donna Follia! Chi è inesperto venga qui!” Inutile dire che da questo lato gli affari prosperano. Anche la piazza mediatica è fatta così. Se uno si presenta con un ragionamento giusto, sensato, basta sfiorare lo schermo per farlo sparire, ma se viene un altro che dice una marea di sciocchezze, tutti ascoltano, ridono, applaudono, cliccano, e viene pure pagato bene! La verità è bistrattata, dal punto di vista commerciale non vale niente, mentre le scemenze muovono una barca di soldi!

Dopo aver urtato i Giudei per avere affermato di essere lui stesso “il pane disceso dal cielo”, e non quello che Mosè diede ai padri nel deserto, ecco un’affermazione ancora più scandalosa: il pane che Gesù darà è la sua stessa carne “per la vita del mondo!” Gli antichi padri, settecento anni prima, mangiarono il pane di Mosè e sono morti di morte naturale, come tutti gli altri uomini. Ma chi mangia di questo pane vivrà per sempre. Logico che quelli reagiscono male: “come può costui darci la sua carne da mangiare?” L’incomprensione è totale, e Gesù invece di chiarire, pare che insista e lo faccia apposta, nel suo parlare crudo. E quelli hanno pensato a una sorta di antropofagia, credendo che Gesù stesse parlando delle sue carni come quelle di un vitello macellato e lavorato, per essere cotto e bruciato sull’altare sacrificale, come si usava fare con l’agnello pasquale.

E’ probabile che San Giovanni, parlando dello scontro tra Gesù e i Giudei, rifletta le polemiche e le diatribe che si erano sviluppate all’interno della primitiva comunità cristiana, verso la fine del primo secolo. Le due situazioni, quella di Gesù e quella della comunità primitiva, si somigliano. Nella comunità primitiva, più precisamente nel “circolo giovanneo”, ci fu una sorta di spaccatura: da un lato quelli che ammettevano una verità solo in base all’esame dei segni e dei gesti esteriori, alla maniera dei Giudei, e dall’altro lato quelli che, essendo di formazione e cultura greca, tendevano a svuotare il senso del gesto e del segno. I primi guardavano ai “segni” e ai miracoli, i secondi tendevano a svuotare il realismo dell’incarnazione. Il Vangelo di Giovanni rappresenta un superamento, una coraggiosa risposta. L’evangelista si serve della felice ambiguità tra sacramento (materiale) e parola (immateriale) per mostrare la legittimità di tutti e due i piani di comprensione: quello della carne e quello dello spirito, quello umano e quello divino. I “segni” e i miracoli sono veri, così come è vera e reale l’unione tra il Logos e l’umanità: “il Logos si è fatto carne”.

In questo modo Giovanni offre una risposta ai problemi del suo tempo, esattamente come facciamo noi: leggiamo le Scritture e le spieghiamo rispecchiando noi stessi, le nostre attuali difficoltà. Teniamo la memoria dei fatti passati cercando di interpretare le vicende presenti. Difatti è impossibile capire il discorso del “pane di vita” senza fare riferimento a ciò che era successo “prima”, in Mosè ed Elia, e ora ci rendiamo conto che non è neanche possibile saltare le cose che sono successe “dopo”, nella primitiva comunità cristiana. Anche noi, cristiani del terzo millennio, siamo inclusi nel discorso eucaristico, nello stesso modo in cui Gesù vi ha incluso Mosè ed Elia, come se fossero dei suoi contemporanei.

Quindi dobbiamo stare attenti a non cadere anche noi in un eccesso di realismo, come i Giudei, che interpretarono il discorso di Gesù nel senso dell’antropofagia. Non è che Cristo ci abbia donato il suo fegato, la sua milza, o il suo apparato cardio-respiratorio! Ad esempio, abbiamo avuto dei teologi che hanno speculato sulla permanenza del corpo e sangue di Cristo nel nostro stomaco, dopo aver fatto la comunione, per essere sicuri di quanto tempo rimanere in adorazione, prima che sia passato l’ “effetto” eucaristico. C’è stato un tempo in cui la teologia si è confrontata con l’imbarazzante questione “de secessu”: che ne sarà delle specie eucaristiche, una volta digerite e assimilate nei passaggi successivi? Preoccupazioni assolutamente inutili: bisogna avere molto tempo a disposizione, per tenersi occupati in cose di questo genere. Attenti però anche a un eccesso di devozione, come se questa Eucarestia fosse qualcosa di etereo, di evanescente, un cibo destinato solo agli Angeli e alle anime buone che fanno piacere a Gesù. Ho trovato persone che nella loro incontenibile e insostenibile devozione vedevano un bambino in miniatura, nell’eucarestia natalizia, o un minuscolo agnello sgozzato invisibile, nell’eucarestia pasquale!

A che serve parlare di Gesù nello stomaco dei suoi devoti? A che serve questa devozione dello stomaco, se non a distrarci dalla verità così come si sono colpevolmente distratti i giudei che hanno inteso le parole di Gesù a questo basso livello? Nell’Eucarestia c’è ben altro, Gesù stesso lo dice: “mio cibo è fare la volontà del Padre!” Venendo da Dio, lui è il testimone privilegiato di questa volontà che nutre e sostiene la vita, volontà tutta e sempre ancora da scoprire. Il dono del suo corpo e lo spargimento del suo sangue si è realizzato al Calvario, nel modo che ben conosciamo. Il senso dell’Eucarestia va cercato qui: in un modello di vita donata!

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