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Facebook, siamo proprio sicuri che sia social?

La pervasività dei social network primo fra tutti Facebook, nella vita di giovani e adulti, finisce per negare alla realtà vera fascino, facendola apparire anzi minacciosa

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Adesso siamo così abituati a Internet da non farci più caso e forse abbiamo dimenticato che il prefisso “www” vuol dire world wide web, cioè la rete che abbraccia il mondo intero. Ironia della sorte, di questo vasto mondo la maggior parte degli utenti non se ne fa nulla. È aumentato a dismisura il numero di persone che si muovono online, cresce il loro tempo di connessione, con corrispondente incremento delle forme patologiche di dipendenza, ma l’ampiezza dello spazio battuto nelle cybernavigazioni pare restringersi vieppiù. Sull’oceano galleggiano tanti gusci di noce, tante piccole reti di soggetti assorbiti in modo ombelicale dalle proprie faccende insieme a cerchie ristrette di amici virtuali.

Il trionfo del social network Facebook mostra linee di tendenza chiare. Già qualche anno fa, Mark Zuckerberg ha celebrato il traguardo del miliardo di iscritti, cioè circa la metà degli internauti nel mondo. Gli osservatori più attenti, hanno messo in relazione questa cifra con i circa 180,3 miliardi di relazioni di “amicizia”: fanno una media di 170 amicizie a testa. Guarda caso, notano, una cifra non lontana dal “numero di Dunbar”, dall’antropologo britannico che nel dipartimento di Psicologia Sperimentale del Magdalene College di Oxford ha quantificato intorno a 150 il numero di relazioni stabili che siamo in grado di mantenere contemporaneamente.

Facebook, insomma, avrebbe tanto successo perché è il social più simile alla realtà, al punto da rispecchiare i limiti cognitivi che condizionano la vita reale.
Per il momento, almeno: sarà un test interessante vedere se in futuro il rapporto si altererà, superando la dimensione media delle nostre reti sociali in carne ed ossa, oppure andrà stabilizzandosi. Passando dalla Psicologia Cognitiva al campo dei bisogni, il re dei social prospera sulla tendenza postmoderna a non essere troppo social, ossia aperti a mondi estranei, sconosciuti e dunque potenzialmente minacciosi, bensì a cercare conferme rassicuranti all’interno di nicchie circoscritte e controllabili a partire dalla nostra esperienza. Il motore di ricerca Graph Search, consolida questa tendenza a riprodurre dinamiche da villaggio, più che da metropoli, o meglio ancora, da “comunità”, almeno come la sognano gli individui dispersi nel gelo di un mondo globalizzato. La realtà esterna, ignota, tutta da scoprire, non affascina, anzi incombe minacciosa e per sfuggirvi aneliamo a rifugiarci in un “cerchio caldo” che offra le rassicurazioni che nella vita quotidiana non troviamo più, a partire dalle piccole cose. Sono sparite le amichevoli drogherie all’angolo della strada, ai più manca la serenità di trovare volti familiari nel quartiere o dietro i banconi, “non esiste più la certezza che ci rivedremo, che continueremo a rivederci spesso”: ecco allora il successo del “libro delle facce”. Potremmo andare dovunque chiunque, incontrare (virtualmente) chiunque, invece andiamo a caccia di ex e compagni di scuola.
Coltiviamo amichevoli punti fermi, nicchie dove ritrovarsi, rispecchiarsi, rassicurarsi a vicenda, godere della gratificazione istantanea a costo zero di raccogliere tanti “mi piace”.
Schiacciare il pulsantino con il pollice alzato compiace il desiderio di scrollarsi di dosso l’incombenza di compiere vere scelte, esprimere giudizi personali, articolati, motivati. Da quando, poi, il “profilo” si è trasformato in un “diario” disteso sulla timeline della vita, pare ormai evidente che Zuckerberg e i suoi strateghi vogliono sedurci con un surrogato della comunità ideale a cui aneliamo, che Bauman descriveva proprio come «aggregazione di esseri umani resa ‘coesa’ da profili biografici (i diari, appunto) saldati da una lunga storia (la timeline) e da una ancor più lunga aspettativa di frequente e intensa interazione» (i “mi piace” hanno superato gli 1,13 trilioni: parliamo di una cifra a 18 zeri). Invece che allargare a dismisura gli orizzonti, però, tirano fuori il provinciale un po’ spaventato che si annida in ognuno di noi. Graph Search in questo senso è illuminante. Il nuovo motore consente di scandagliare più a fondo Facebook dall’interno: per questo l’hanno salutato come il Santo Graal del web marketing.
Bauman d’altronde ci aveva avvertito che “ogni comunità è un’arma a doppio taglio, la sicurezza e il calore della rassicurazione si pagano in termini di riduzione della libertà e della privacy: nel paesello stai tranquillo, ma tutti sanno tutto di te”. Si differenzia dai motori tradizionali, che pure già operano una preselezione sulla base dalle nostre ricerche precedenti, perché qui siamo noi a impostare una ricerca basata sull’esperienza personale trasferita nelle pagine. Graph Search scandaglia la nostra timeline o le cerchie di “amici” virtuali e, se esce fuori, per ora lavora andando a ripescare i clic su “mi piace”.

Si giudica il monaco dall’abito, dalle immagini “postate” (che pestilenza lessicale, questi anglicismi indotti!), si seleziona in base ai “like”, cioè le preferenze al massimo grado di superficialità. Noialtri, alle periferie dell’impero siamo ancora iscritti alle liste d’ attesa, ma in rete si trovano filmati (talora esilaranti) di chi sta testando la versione beta. Il nuovissimo giocattolo resuscita palesemente uno spirito da vecchie comari. Combinando età, gusti, parametri, potere scovare tracce di segrete inclinazioni e contraddizioni sospette, ma soprattutto andare a caccia di marito (o moglie), scandagliando tra amici di amici single, ma senza esporvi. Benvenuti nel futuro, bentornati in provincia!

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