Home Antropos Halloween, cosa era e cosa è diventato: “il canto della disperazione”

Halloween, cosa era e cosa è diventato: “il canto della disperazione”

"Ciò che è rimasto è il motivo tutto occidentale della denigrazione del mondo. Una denigrazione che si accompagna al piacere morboso e perverso della propria dissoluzione". Su una festa tanto attesa e tanto discussa la parola al dott. Davide Cinotti, psicoterapeuta, responsabile del Centro diocesano per la famiglia "Mons. Angelo Campagna"

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Morti viventi che si aggirano per le contrade e vivi impauriti che si coprono il volto con maschere terrorizzanti per spaventare i morti e tenerli lontani. Questa è Halloween, una festa pagana diffusa tra le popolazioni del Nord Europa a partire dal 4.000 a. C., riconvertita dal cristianesimo nel 600 d. C. nella festa dei Santi, con particolare riferimento ai cristiani uccisi in nome della fede, seguita dalla festa in onore dei morti.

Due culture che si scontrano e si sovrappongono. Due temporalità che si contaminano e, nella contaminazione, confliggono. Halloween non è il carnevale, festa della sovrabbondanza prima della penuria quaresimale, Halloween mette in scena il gioco della vita e della morte in un tripudio beffardo e grottesco, perché se la vita è uno stupido scherzo, possiamo berci sopra oltre ogni misura. Per questo la modernità, che ancora abita la cultura cristiana, senza però più credere alla propria salvezza, mette in scena lo spettacolo della morte deridendola con ogni sorta di scherno.
Nulla della tragedia greca che si consegna al destino, per crudele che sia.
Nulla della pietas romana che onora il defunto e lo propizia.
Halloween guarda lo spegnersi autunnale della natura come metafora della condizione umana, e reagisce a questa tristezza mettendo in scena una gioia macabra.
Il cristianesimo, con la sua fede nella sopravvivenza, depotenzia la morte a semplice transito: da questo cielo e da questa terra colmi di dolore a “nuovi cieli e nuove terre” (Isaia). E così l’uomo non ha la stessa sorte di tutti i viventi nati dalla terra e dalla terra riassorbiti. Un’altra vita si annuncia dopo quella che appare una fine.
Non così per il mondo pagano che, non avendo speranze ultraterrene, sa di non poter evitare la propria sorte mortale, di fronte alla quale, come dice Sartre: «È la stessa cosa aver guidato popoli o essersi ubriacati in solitudine».
Dal nulla venuto e al nulla destinato, il pagano, a differenza del cristiano, non chiede il senso della propria esistenza. Sapendosi evento della natura che, nella sua crudeltà innocente, conduce alla morte tutti coloro che ha generato, il pagano si affida a quella temporalità ciclica, propria della natura, che governa il nascere e il dissolversi di tutte le vite, secondo necessità. Una natura a un tempo generativa e distruttiva, copiosa di vita e di morte. Il paganesimo nord-europeo  alla conoscenza ha preferito la rassegnazione, e ha reagito alla malinconia che l’accompagna col tripudio della festa notturna dei morti che ritornano per spaventare i vivi, e con i vivi che indossano teschi e cospargono il corpo di rigagnoli di sangue per esorcizzare nella finzione lo spettro della morte.

In questa macabra festa, dove si sfida la morte col riso sarcastico di chi non può sfuggire a una sorte ineluttabile, si sospendono tutte le regole adottate per una buona conduzione della vita, si infrangono tutti i tabù, ci si concede a tutti gli eccessi, in quell’atmosfera pallida che il chiarore della luna concede, quasi a simulare il pallore della morte.
I bambini, che ancora non percepiscono la propria morte, in quella notte, travestiti da streghe, zombie, fantasmi e vampiri, bussano alle porte gridando con tono minaccioso “Dolcetto o scherzetto” (Trick or treat, nella versione inglese), richiamo alla tradizione celtica che voleva si lasciassero dei dolci sulla tavola in segno di accoglienza per i defunti che in quella notte avessero fatto visita ai vivi.
E di fronte all’indifferenza della natura e all’insignificanza della vita umana, si faccia festa. Non la festa dionisiaca della cultura greca che è deflagrazione di un ordine in vista di un ordine nuovo (Dioniso e Apollo), ma beffardo esorcismo di una cupa rassegnazione, e quindi urlo che spezza ogni presunta armonia.
Questo è Halloween. Il canto della disperazione. Perché la modernità recupera questo antico rito?
Perché della cultura greca il nostro tempo ha perso la “giusta misura”, e del cristianesimo la speranza di salvezza.
Ciò che è rimasto è il motivo tutto occidentale della denigrazione del mondo. Una denigrazione che si accompagna al piacere morboso e perverso della propria dissoluzione. E tutti sappiamo che nel cupio dissolvi c’è anche del gusto, l’unico forse che davvero assapora la tarda modernità. Halloween è solo una festa, che però richiama il sentimento del nostro tempo che fatica sempre più a dar senso alla vita e alla morte, e perciò celebra l’apoteosi del nulla. L’apoteosi cinica della pulsione di morte antagonista della pulsione di vita.
Valli a capire a questi “uomini”.

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