A cura di don Andrea De Vico
Anno B – XXXIV per Annum (Gv 18, 33-37)
“Rispose Gesù: ‘Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per dare testimonianza alla verità’. Gli dice Pilato: ‘Che cos’è la verità?’ ”
L’ultima domenica dell’anno liturgico è dedicata a “Cristo, re dell’Universo”. Un titolo che ai nostri giorni appare obsoleto, stonato e roboante. Le monarchie sono quasi del tutto scomparse: che significa che Gesù Cristo è “re?” Pochi giorni prima Gesù era entrato in Gerusalemme facendo un ingresso modesto e trionfale al tempo stesso. Era disarmato, in groppa a un asinello (manco a cavallo), accompagnato da una corte entusiasta di ammiratori, seguaci, straccioni, popolani e ragazzini … E’ pericoloso, un uomo del genere? Più che altro sembrava un fenomeno folcloristico! Eppure i Giudei hanno avuto paura di lui, si sono sentiti minacciati dalla sua presenza in Città.
Gesù viene trascinato davanti a Pilato con un preciso capo d’accusa, quello di essersi proclamato “re dei Giudei”. Interrogato sul delitto di “usurpata maestà”, Gesù volge l’interrogatorio sul tema della “verità”. Se c’è un luogo dell’Universo in cui egli è sovrano, è “la verità”. Dice di essere venuto a testimoniare “la verità”. I Giudei in un certo senso hanno visto giusto: egli è re, ma non alla maniera di “questo mondo”. Non è venuto a conquistare con la spada, ma con la parola, trovando un seguito portentoso, ecco perché fa paura! Pilato resta sconcertato, non si aspettava una risposta di questo tipo, e siccome appartiene alla congregazione degli scettici, ribatte: “che cos’è la verità?”
L’uno di fronte all’altro, Pilato e Gesù rappresentano due modi di governare il mondo: “il potere senza la verità”, e “la verità senza il potere”. Pilato crede alla forza delle armi, che i forti hanno sempre ragione. Non vede gli imperi che cadono, e nuovi stati che si edificano sulle rovine degli altri. Per Gesù, l’autorità è fondata sulla verità. Una persona che ha la responsabilità degli altri, un capo politico, un direttore d’azienda, un prete, un vescovo, un capofamiglia, se vuole il consenso, la collaborazione e “il cuore” degli altri, deve essere credibile sotto il profilo della verità. Quando uno deve ricordare agli altri che “qui comando io!” vuol dire che il realtà l’autorità l’ha persa, o non l’ha avuta mai. E’ una proporzione inversa: chi cresce in autorità, meno avrà bisogno di potere … chi più fa uso di potere, meno guadagna in autorità …
Gli scettici sono gente come Pilato.
Messi davanti a grandi questioni che richiedono un certo esercizio del giudizio, assumono un atteggiamento di indifferenza, “se ne lavano le mani”. Lo scettico non si scomoda per cercare la verità, non è disposto a pagarne il prezzo, non vive del vero, non si nutre del vero, e alla fine non sarà neanche una persona vera, perché gli riesce meglio di eludere la questione: “che cos’è la verità?” E quando una persona non è vera, non è neanche autorevole. Lo scetticismo porta a un “saldo” negativo in umanità, si diventa “meno uomini”.
Nelle altre due letture, Daniele parla di un “figlio dell’uomo” rivestito di potenza cosmica, e Giovanni associa questa figura alla gloria dei secoli. Nella cosmologia antica, le nubi del cielo segnavano il limite della dimora divina. Al di sotto delle nubi c’era il mondo degli spiriti e dei demoni, che agitavano gli eventi meteorologici e scatenavano i cataclismi della terra. Le forze della natura venivano personificate e spiritualizzate, come facciamo noi quando battezziamo le tempeste tropicali o gli incendi portentosi della California.
Nella profezia di Daniele ci sono quattro bestie che si danno il cambio nello stritolare uomini e cose. Sono i poteri del mondo, i vari imperi che si sono susseguiti nella storia che, invece di governare gli uomini, li hanno perseguitati e uccisi. Ad un certo punto Daniele osserva un fatto nuovo: vede “venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo … gli furono dati potere, gloria e regno … tutti lo servivano … il suo potere non finirà mai …”. Finalmente un governo giusto e perfetto, che solo un intervento divino può garantire!
Gesù nel Sinedrio, davanti ai suoi accusatori, dichiara di essere lui questo “figlio dell’uomo”, disceso per inaugurare il regno finale. Questa affermazione provoca una reazione furiosa da parte dei Giudei: “ha bestemmiato, si è fatto uguale a Dio!” I Giudei sanno bene che il “Figlio dell’uomo” è una figura divina. L’Apocalisse riprende le immagini di Daniele e le applica a Cristo, “Testimone fedele, Primogenito dei morti, Sovrano dei re della terra, che viene con le nubi” (Ap 1, 5-8). Certo, sono immagini che si rifanno alla cosmologia antica e al linguaggio apocalittico, ma il loro senso è chiaro: Gesù Cristo abbraccia tutto l’arco della storia: profetizzato nell’Antico Testamento, si è incarnato nel Nuovo, e viene annunciato nel tempo presente della Chiesa.
Molti apprezzano tanto l’immagine di un Cristo grande maestro di sapienza e di morale, amico e fratello universale, socialista e rivoluzionario, ma non capiscono il senso della sua regalità, non riescono a dire: “Signore!” Anche il mondo del cinema, nel presentare il “personaggio Gesù”, ama mostrarlo nella sua umanità, come un brav’uomo vicino alla gente, incompreso e perseguitato fino a fare una brutta fine, un Gesù che non salva. Noi lo celebriamo “Re dell’Universo”. Certo, i termini di questa regalità non sono evidenti, e in questo Pilato aveva ragione, ma Gesù ci ricorda che il “Regno di Dio” avanza lentamente, nel cuore degli uomini. E quando il Regno avanza, Dio concede ai cuori il suo “potere!”