“Lungo le sponde del Torano, da Alife a Piedimonte, era un formicolar di gente, un andare, un venire, un aggirarsi per quei dintorni, ricercando, trasportando, ammassando (…) Vedevi qui e là disperse, e più o meno infrante e sgangherate, arche, casse, panche scaffali, armadi da bottega (…), tronchi di faggi, alberi di ogni sorta”.
Devastato anche il “rinascente opificio di tessuti cotonini e stampe d’indiane” (…) “E l’animo, già rattristato e stupefatto delle cose udite e viste, cadeva nella più profonda amaritudine allo spettacolo che gli si offriva nella Cappella di S. Antonio Abate, sul cui spiazzo giacevano rimescolati 12 cadaveri di uomini e donne, vittime del flagello”.
Un vero e proprio flagello il maltempo capitato su Piedimonte il 13 settembre 1857; una catastrofe l’inondazione generata dal Torano fautore di morte e distruzione, tanta fu la furia dell’acqua, gonfiato anche dalle acque del torrente Rivo. A parlarne, a distanza di qualche mese dai fatti (siamo nel giugno 1858) il medico locale Vincenzo Coppola, già memore della precedente catastrofe del 1841, prozio del futuro On. Angelo Scorciarini Coppola all’epoca dei fatti soltanto bambino, residente in Città nel palazzo di famiglia.
Ne parliamo oggi, non solo per ricordare i fatti o celebrare l’eloquenza letteraria di un uomo che nel suo racconto rivela con ritmo incalzante dettagli, paure, particolari tali da renderci partecipi della scena; ma per “ristabilire” all’attenzione di tutti la “natura e i cagionati disastri”, quelli che oggi si temono e si scongiurano quando le piogge violente ricordano alla Città che i suoi torrenti interrati soffrono le forzature dell’uomo, che la vegetazione selvaggia dei valloni rappresenta un ostacolo alla naturale corsa delle acque, che la morfologia di alcuni terreni non consente che su quei suoli vi siano decine e decine di case e di abitanti, attività produttive e commerciali e persino caserme…
Legittime le preoccupazioni del sindaco Luigi Di Lorenzo che lo scorso novembre (leggi l’articolo) chiedeva in forma ufficiale aggiornamenti sul piano del Governo Renzi “Casa Italia” che nel 2016 ha incluso Piedimonte Matese tra gli 11 comuni maggiormente esposti a rischio sismico (anche per la fragilità e malleabilità del sottosuolo) e individuato per essi un progetti di risanamento.
Nel frattempo a settembre 7 comuni del nostro versante matesino, tra cui proprio Piedimonte, sono stati ammessi a finanziamenti regionali (per un totale di 12 milioni di euro) per sanare le condizioni di dissesto idrogeologico del territorio (leggi l’articolo).
Invece, del Piano di Renzi quasi tutto è cambiato: finanziamenti da assegnare entro la metà di gennaio agli oltre 8mila comuni italiani a rischio, per il risanamento di una struttura a scelta. Al Comune di Piedimonte, stando ai suoi abitanti, spetteranno 100mila euro (ritorneremo sul progetto in questione).
Sanare, rimediare, rattoppare: è la politica degli ultimi decenni – in tutta Italia – che fa i conti con i risultati di scellerate scelte, sempre politiche, che non hanno tenuto conto di leggi, di norme, del pericolo, della sicurezza e del futuro del nostro Bel Paese. È la lunga lista dei disastri annunciati quella che oggi ci presenta il prezzo più alto in termini economici e di vite umane seppur l’Italia brilli per menti e progetti all’avanguardia, forse troppo spesso frenati appena fuori dai loro giacigli dall’avanzata di altre menti (meno brillanti) con il maggior potere di decidere e deviare il loro seguito.
Urge una coscienza. Urge l’applicazione dei buoni principi. Urge senso civico.
Tra gli “allarmi” più vivi nella Piedimonte di oggi anche la struttura del parcheggio seminterrato di Piazza De Benedictis, non ancora collaudato, con problemi di rischio idrodinamico: siamo in corrispondenza del Torano, tombato dopo l’alluvione del 1960.
“Di un gran temporale non mancò in alcuni un oscuro presentimento, il giorno innanti; osservando il cielo offuscarsi per nuvolosi a color tetro e lembi laceri e addentellati, rincacciati da venti australi… (…). La notte intera fu un lampeggiar continuato”, ma al mattino, giunse ugualmente in città tanta gente per i “traffici consueti. I fenomeni però della notte non avevano fatto svaporare il furore dell’architettata procella; bensì ne furono i prodromi: perché verso il mezzodì, fattosi il cielo più orribilmente fosco, rovesciassi a secchia la pioggia. Da’ comuni di Baia, Dragone, Alvignano e dalla stessa Alife, ove men fitte erano le nubi e nullo o pochissimo il piovere, i riguardanti vedevano la nuvolaglia, addensata nella linea da Raviscanina a Cusano, ravvolgere in dense tenebre quella zona di cielo e monti e falde”.
Dapprima il torrente Valle Paterno a gonfiarsi ed invadere i campi e le ville ai piedi di monte Cila; poi la corsa dell’acqua “venire giù pel monastero di San Benedetto”. Violente anche le acque del Rivo…tutte a gonfiare il Torano.
Di quei 12 morti citati sopra, il numero crebbe nei giorni seguenti sommando quelli rinvenuti in città e quelli che l’acqua aveva trasportato fino ad Alife lungo il corso del Torano.
Nel documento di Coppola sono citati i luoghi, i quartieri, le botteghe che la furia dell’acqua attraversò ed è descritta la terribile visione dei giorni successivi all’alluvione: “tutto convertito in banchi di ciottoli e ghiaia; disseminati qui e là qui macigni di immensa mole”, e persino i ponti sul Torano coperti di fanghiglia.
Anche in quel caso fu severo il giudizio sulle strutture dei ponti e le catene che avrebbero dovuto “soffermare” i detriti, ma che gli stessi avevano spezzato e trascinato via…
Venne poi il tempo delle soluzioni possibili, dei progetti affinché non si verificassero altri simili danni in caso di violente precipitazioni. Come oggi, anche allora, ci fu il buon proposito di progettare al meglio il futuro della città.
Quale insegnamento da quella lezione?
Nella Prima adunanza del Consiglio Comunale di Piedimonte d’Alife il 3 giugno 1861, la prima dopo l’Unità d’Italia (siamo di fronte ad un documento successivo), il consigliere Vincenzo Coppola, autore delle memorie che abbiamo raccontato sopra, tenne un discorso in cui ringraziava gli elettori (risultò il primo eletto con 158 voti su 184 cittadini votanti) in seguito alle votazioni del 12 marzo; nell’esprimere il potenziale valore della libertà municipale (e politica) che si andava conquistando, consigliava a coloro che tra i colleghi consiglieri avrebbero composto la giunta di caldeggiare una serie di progetti, tra cui: “il tornare salde e boscose le terre scoscese del demanio comunale: e ciò pel doppio scopo, di provvedere, cioè, al combustibile, la cui deficienza si fa di giorno in giorno maggiore; e di scemare la massa e la foga de’ torrenti devastatori, che per noi tutti richiamano in mente tristissime e luttuose memorie.
La bonificazione degli stessi torrenti, per menomare al possibile i disastrosi allagamenti per l’avvenire: e ciò non già col deviamento, progettato dalla direzione Ponti e Strade, per la linea di San Nazzaro; il quale senza raggiungere lo scopo, potrà anzi riuscire a rovine maggiori: ma con un deviamento per tutt’altra direzione, che potesse con sicurezza e stabilità togliere dalla nostra città un tanto esiziale flagello, mettendo in salvo le vite e i domestici lari”.
Un’eredità che ci resta e invita a riconsiderare la buona geografia di Piedimonte Matese, quella meno pericolosa per la città e per i tanti abitanti che la vivono: c’è una città più sicura e al riparo da possibili fratture e allagamenti che da via Matese si porta più su e guarda con maggiore sicurezza la piana sottostante dove invece sono proliferate case e villette e attività commerciali piuttosto che aziende agricole lì dove il terreno limoso meglio si presterebbe ad insediamenti di altro genere rispetto a quelli civili.
Ma a questo avrebbero dovuto pensarci “quelli del mestiere”.
L’altro suggerimento ben più esplicito che ci viene in dono riguarda una pratica semplice, comune, necessaria: la bonifica di fossi e valloni, nulla di più semplice.
Fonti documentarie
Sulla inondazione di Piedimonte nel settembre del 1857, Archivio Famiglia Scorciarini Coppola;
Nella prima adunanza del Consiglio comunale di Piedimonte d’Alife, Biblioteca provinciale Benevento.
Gentile Dott.ssa Biasi, i miei sinceri complimenti per il bellissimo articolo.
Un solo commento a margine: sono del parere che il maggior ostacolo da superare per il Sindaco non sia rappresentato dai destinatari istituzionali delle sue missive bensì dai suoi stessi amministrati che hanno sposato l’indirizzo urbanistico del passato.
Questo vede realizzati, come l’articolo ricorda, grossi condomini, ville, attività commerciali e persino le caserme nelle parti più a rischio della città mentre è stata quasi del tutto disdegnata la collina verso il Matese che è opposta alle zone rosse, dove il sottosuolo è roccioso per cui molto più sicuro anche nei confronti di un sisma; zona definita dai più come “là n’coppa”.
E’ un problema di mentalità da correggere; la collina ovunque apprezzata non lo è per molti a Piedimonte.
Basti pensare che attorno l’Ospedale sono molte le aree dove l’urbanizzazione è incompleta sopratutto per mancanza di domanda, non c’è un distributore di carburanti, nè un supermercato alimentare e così via elencando per cui è facile immaginare, e il Sindaco ha infatti giustamente lanciato l’allarme, cosa accadrebbe se dovesse malauguramente abbattersi su Piedimonte una bomba d’acqua.
Complimenti, quindi, anche a lui.
Grazie per l’ospitalità
Alessandro Scorciarini Coppola