Anno C – 1 per Annum – Battesimo del Signore (Mt 3, 15-16; 21-22)
A cura di don Andrea De Vico
“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”
La letteratura, l’arte, lo spettacolo e la pubblicità prestano attenzione alla sola dimensione orizzontale dei rapporti umani, quelli che passano tra maschio e femmina, uomo e donna, marito e moglie. Sembra che non esista altro che questo: storie di seduzioni infinite, torbidi sentimenti e sesso senza pudori. Il rapporto verticale tra padre e figlio, altrettanto vitale e universale, rimane inesplorato, per lo più se ne occupano gli psicologi, spesso in chiave negativa, analizzando il conflitto tra genitore e figlio: autoritarismo, paternalismo, rifiuto, ribellione, incomunicabilità … Il rapporto da padre a figlio non è semplice da interpretare.
Anche i conflitti psicologici e spirituali delle donne hanno spesso origine in una ferita nei rapporti con il padre. La prima esperienza che una donna ha del maschile è proprio “suo padre”, il primo uomo di cui si innamora. Nel diventare adulta e nel relazionarsi ad altri uomini, la ragazza viene influenzata dalla sua figura, in positivo come in negativo. Finora nessuno è riuscito a dare una definizione soddisfacente dello “spirito femminile”. Le donne stesse, quando sono invitate a descrivere la propria femminilità, stranamente non prendono in considerazione la propria madre, ma si confrontano con il modello maschile interiorizzato.
Per fortuna nella grande maggioranza dei casi si scopre che un rapporto intenso, sereno e riuscito coi propri figli, è altrettanto importante e appagante della relazione tra i sessi. Per fortuna i genitori non sono tutti così perfetti come dovrebbero, altrimenti gli ideali troppo alti e ben riusciti metterebbero i figli a disagio, li renderebbero inadeguati e nervosi. Per fortuna anche i genitori sbagliano, quando fanno i genitori.
Ciò vuol dire che si diventa uomini e donne non soltanto in rapporto all’altro sesso, ma prima di tutto in relazione alla generazione. La paternità non è un dato biologico: anche gli animali figliano, ma non vuol dire che siano “padri e madri”, non me ne vogliano gli animalisti. Con la fecondazione artificiale si vogliono saltare i passaggi o rimediare agli incomodi della natura, ma in questo modo gli esseri umani finiranno per essere identificati non più per via di generazione o di relazione, ma saranno il prodotto di un contratto, saranno brevettati da una azienda, e invece del nome di famiglia, porteranno il marchio di una ditta. In tutta evidenza, la “fecondazione artificiale” produce altrettanti “padri artificiali”.
Nulla di strano se una multinazionale, ad esempio, dopo aver disegnato un nuovo biberon e commercializzato una nuova mescola di latte in polvere, immette sul mercato anche il bambino, etichettato e attaccato alla bottiglia. Mi si perdoni la sconcezza del linguaggio zootecnico, ma non siamo molto lontani da questo. Gli animali da compagnia vengono “umanizzati” e trattati come bambini, mentre gli uomini finiranno per essere incrociati e prodotti in prima o seconda scelta, come se fossero animali da compagnia.
La cosa è molto grave: una cultura che ricorre alla fecondazione artificiale, fatta salva l’amabilità e la dignità del figlio che viene, pagherà la tassa di una generazione disumanizzante, senza rendersene conto! Non si deve fare! Tutto questo dice che la paternità umana trae esistenza, senso e valore, “altrove”. Transumanismo, o trascendenza? Cos’è che rende un uomo “più uomo”, se non il fatto di diventare “padre”, dopo essere stato “figlio” lui stesso?
C’è un Padre dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra “prende nome” (Ef. 3,15). La paternità umana non è che una partecipazione, un pallido riflesso della paternità divina. Al Giordano, è come se una voce dicesse: “sono fiero di te, sono contento di essere tuo padre”. Una dichiarazione del genere fa miracoli, detta al momento giusto e nel modo giusto, a un cuore di ragazzo o di ragazza. Riconoscere un figlio, benedire quello che fa, è come generare una seconda volta. Il ruolo della madre, altrettanto vitale e significativo, lo vedremo domenica prossima, a Cana di Galilea.
I teologi dell’antica Siria dicevano che il cristiano deve diventare non “a immagine di Dio” (perché con la creazione lo è già), ma “a immagine del Figlio”: noi dobbiamo diventare “il Figlio”, non per restare sottomessi in eterno, ma per crescere in umanità, e avere il dono della natura divina! La divinizzazione dell’uomo: un risultato molto diverso dal transumanesimo!