Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano
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III Domenica del Tempo ordinario
Ne 8, 2-4a.5-6.8-10; Sal 18; 1Cor 12, 12-30; Lc 1, 1-4.4, 14-21
I testi biblici di questa domenica ci permettono di fare una riflessione essenziale per la nostra vita di uomini e di uomini cristiani.
Luca scrive il suo Evangelo per i cristiani della terza generazione che provengono dal paganesimo; la prima generazione aveva conosciuto Gesù e questo gli bastava; la seconda aveva conosciuto quelli che lo avevano incontrato e lo aspettava presto; la terza non ha conosciuto né Gesù, né quelli che lo avevano incontrato e ormai non attende una sua venuta imminente; la terza generazione cristiana sa che Cristo Gesù ha annunziato un’ultima venuta ma questa non è così imminente come pareva. E allora? Deve fare i conti con la quotidianità; la terza generazione cristiana a cui Luca si rivolge comincia a chiedersi cosa significhi che Dio ci ha salvato dato che tutto appare come prima, comincia a chiedersi cosa voglia dire vivere la salvezza in una storia che scorre indifferente all’annunzio della novità cristiana, comincia a domandarsi come intendere quello che Gesù pure aveva detto (cfr Lc 17,21): Il Regno di Dio è in mezzo a voi. Come mettere radici in un passato sempre più lontano e come camminare verso un futuro anch’esso sempre più lontano? E’ possibile che dei fatti del passato abbiano una forza di salvezza per l’oggi e preparino il domani?
L’oggi tante volte è buio ed il futuro è oscuro … questo era il sentire dei cristiani a cui Luca si indirizza, ma questo è anche il nostro scenario perché noi siamo come i cristiani della terza generazione: è il problema della storia; non un problema astruso, ma un problema reale e fortemente esistenziale … un problema che pone domande al nostro vivere concretissimo: cogliere nell’oggi un passato che abbia rilevanza e senso per il futuro; questo per vivere sensatamente l’oggi e preparare il domani.
L’uomo è un animale storico; ha dei limiti ma si sente costretto in quei limiti; l’uomo di continuo cerca se stesso e così cerca altro e si scopre, tante volte, cercatore dell’Altro … Certamente la morte è il suo limite immenso … l’uomo, troppo grande per bastare a se stesso, come scriveva Pascal, sa che dovrà scontrarsi con la morte. L’angoscia è inevitabile.
Qui si pone la promessa di Dio; il Dio della Bibbia promette all’uomo salvezza…
Dio gli sussurra che è possibile un mondo buono, con il cielo aperto, è possibile quell’oltre che l’uomo neanche osava sognare; Dio si è accostato all’uomo promettendogli salvezza, educandolo ad una vera speranza; il Dio biblico chiede all’uomo fiducia perché possa accogliere la salvezza.
In Israele, Dio si è scelto un lembo di terra in cui ha seminato la parola della speranza, della salvezza; lì l’ha coltivata e ad un certo momento ha aperto una breccia nel muro della storia. Di questa fatica di Dio nessuno se ne è accorto, neanche i vicini: la grande storia ha soffocato con i suoi frastuoni la storia di Dio con noi! Dio è venuto nella storia ma non si è imposto alla storia; ha agito, anzi, in modo tale da essere facilmente rifiutato: un povero Rabbi di Galilea, uomo tra gli uomini, capace anche di parole affascinanti e forti ma facilmente derubricabili a chimere di un illuso, rifiutato dai grandi del suo popolo fino a farlo uccidere per mano dei potentissimi padroni del mondo … davvero pare abbia fatto di tutto per non essere accolto!
Eppure Dio ha davvero aperto una breccia nel muro della storia … bisogna avere occhi e cuore per accorgersene e così, all’inizio del suo Evangelo, Luca ci prende per mano e ci conduce a quell’apertura: è la storia di Gesù di Nazareth … lì il muro è stato abbattuto! Lì c’è una porta per uscire dall’angoscia.
Luca sa che per mezzo di Gesù c’è un oggi di salvezza.
Per questo inizia il suo racconto presentandosi come uno storico della salvezza: ci sono delle cose accadute “fin dall’inizio” che Luca intende raccontare (e si riferisce ai due primi capitoli che riguardano l’infanzia di Gesù) e poi ci sono degli “eventi che si sono compiuti tra di noi come ce li hanno trasmessi quelli che divennero testimoni oculari e servi della Parola” e questi sono i discepoli che seguirono Gesù dal suo ministero in Galilea fino alla sua Pasqua. I discepoli che Luca chiama servi della Parola, di quella Parola di promessa che ora ha un volto ed una carne: Gesù! In Lui ogni oggi può essere luogo dell’adempimento della promessa; in Lui ogni oggi può conoscere la salvezza.
Il passo evangelico di questa domenica pone sulle labbra stesse di Gesù l’annunzio di questo oggi di salvezza; durante la liturgia sinagogale a Gesù tocca leggere la seconda lettura (la “haptarah” normalmente scelta tra i testi profetici; la prima lettura, la “parashah” è invece presa dalla “Torah”) … è la “haptarah” prevista dal calendario delle letture. Dopo aver letto Gesù pronunzia una brevissima omelia: Oggi si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi. È il tema dell’oggi certamente riecheggia un tema già presente in tutto il Libro del Deuteronomio (in cui la parola “oggi” è detta ben 65 volte!).
Per Luca è un tema di capitale importanzada questo momento nella sinagoga di Nazareth, all’incontro con il piccolo pubblicano Zaccheo (Lc 19,9: Oggi la salvezza è entrata in questa casa) e fino al ladro appeso alla croce (Lc 23,43: Oggi sarai con me nel Paradiso) ma ancora prima gli angeli del Natale dicono ai pastori: Oggi nella città di David vi è nato un Salvatore che è il Messia Signore(cfr Lc 2, 10).
La salvezza che la Scrittura ci annunzia non è una teoria di salvezza, la nostra salvezza è un avvenimento, una persona: Gesù di Nazareth. In Lui si adempiono le parole della promessa; in Lui è data all’uomo, immerso nelle tenebre ed angosciato nel vicolo cieco della morte, la vera luce; in Lui è data una liberazione dalle catene che disumanizzano l’uomo pretendendo di essere vie di salvezza.
La storia allora non è più un groviglio cieco e disperato; si spalanca alla storia un oggi nuovo che apre le vie del futuro mostrando la saldezza delle radici di una storia in cui Dio ha fatto irruzione con la sua promessa e con l’adempimento di essa.
L’oggi nuovo ha un volto, ha il sapore di una vicenda: il volto di Gesù di Nazareth, la sua vicenda che narra Dio ed il suo amore. Il terzo evangelo dice ai cristiani della terza generazione e di tutte le generazioni che seguiranno che se il Regno di Dio è già venuto in Gesù, se è già compiuto in Lui, attende di venire e di compiersi in noi, nei nostri oggi; ogni “oggi” può essere, in Gesù, nell’ascolto compromettente della sua Parola, “oggi di Dio”. La Parola ancora attende di farsi carne e storia in noi.
L’irruzione di Dio, l’irruzione della sua Parola, come già narra il Libro di Neemia nel celebre tratto che oggi passa nella liturgia, conduce alla gioia e alla comunione; passa certo per lacrime di compunzione su un passato segnato da morte e infedeltà, ma approda alla gioia di un banchetto festoso che si fa comunione con i poveri; la Parola accolta trasforma l’oggi in un tempo santo: questo giorno è consacrato al Signore (Ne 8,10). L’oggi in cui Dio abita, dall’oggi di Gesù di Nazareth, ha una nuova forza: la gioia che proviene dal Signore (Ne 8,10).
I presenti nella sinagoga di Nazareth in quel giorno della visita di Gesù sono per noi un’icona di ciò che ci è richiesto perché tutto questo ci tocchi: gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi sopra di lui. Ecco, non si può distogliere lo sguardo da Lui: solo Gesù, il Figlio di Dio nella nostra carne, è il liberatore e il salvatore. Non ce ne sono altri! Lui, l’inviato a portarci un Evangelo che ci deve e può far esultare.
Teniamo fisso – dunque – lo sguardo su di Lui (cfr Eb 12,2)!
P.Fabrizio Cristarella Orestano