Home Chiesa e Diocesi Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano. Esperienza di sinodalità tra le Chiese

Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano. Esperienza di sinodalità tra le Chiese

Il giudice ecclesiastico dev'essere fedele alla Volontà di Cristo, "Supremo Giudice", così mons. Filippo Iannone, Presidente del Pontificio Consiglio per l'interpretazione dei Testi legislativi

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È stato l’Auditorium diocesano “Giovanni Paolo II” di Sessa Aurunca ad ospitare l’inaugurazione del terzo anno di attività del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano, lo scorso 29 gennaio. A coordinare i lavori, mons. Orazio Francesco Piazza, vescovo di Sessa Aurunca.
Delle due vie che la Parola di Dio ci suggerisce, quella “positiva è prioritaria come impegno per rimuovere l’oppressione e liberare dall’ingiustizia. Per praticare la via positiva occorre intelligere, cioè leggere nell’interiorità, entrare nel fondo delle questioni, toccare il senso essenziale della vita”. Mons. Francesco Leone, vicario giudiziale TEI-Teano, introduce così l’incontro, soffermandosi sull’amore del Signore che rappresenta la “pienezza della Legge. Gli ordinamenti rendono possibile la dignità, la responsabilità di fronte al valore, cioè alla misericordia di Dio, che è amore condiviso. Affidiamo al Signore e al suo Spirito questo percorso del Tribunale”. Dopo il saluto ai Vescovi, agli operatori del Tribunale, ai rappresentanti istituzionali e ai sacerdoti presenti, e ricordando la concomitanza dell’evento con l’udienza di Papa Francesco al Tribunale della Rota Romana, ripercorre questi tre anni di lavoro, ribadendo il ruolo che esso riveste nella pastorale familiare e matrimoniale delle tre Diocesi, “procedendo serenamente”, dopo un biennio che vede i seguenti dati: 59 le cause introdotte, di cui 3 amministrative e 56 giudiziarie. Tra esse, i processi brevi sono stati 36, mentre quelli ordinari 20: di questi, 24 provenienti da Alife, 19 da Sessa e 16 da Teano. Affermativo l’esito di 53 processi, mentre 6 risultano pendenti e quindi da portare a compimento nei prossimi mesi. I capi di nullità sono: esclusione della prole (13); esclusione della fedeltà (3), condizione (3), per dolo (1), errore di qualità, vis vel metus (2), impotenza (1), incapacità (1), sacramentalità (1).

A mons. Valentino Di Cerbo, vescovo di Alife-Caiazzo e moderatore del TEI, è stato affidata l’inaugurazione ufficiale del terzo anno. “Un bel traguardo, che dimostra la validità della scelta operata tre anni fa. In questo periodo le Diocesi coinvolte hanno fatto un grande sforzo, avviando una struttura che incarna la conversione pastorale del settore giudiziario”, come auspicato da Papa Francesco, “e il suo radicamento nell’Alto Casertano”. Il successo dell’impegno assunto “getta una luce positiva sulle nostre diocesi, espressione di forme nuove di sinodalità e collaborazione tra le Chiese. Il nostro Tribunale è pronto ad accogliere le nuove direttive e ad applicare le nuove disposizioni dela CEI”. I buoni risultati ottenuti, “esigono un nuovo impegno, ma soprattutto siano da stimolo per il futuro, anche sul fronte pastorale. Un’idea, ad esempio, potrebbe essere la formazione del personale del Tribunale e l’accompagnamento alle famiglie ferite, via privilegiata di evangelizzazione e promozione umana.
Entusiasmo e piena disponibilità ai colleghi vengono esternate da mons. Giacomo Cirulli, vescovo di Teano-Calvi, entrato per ultimo nel team, prendendo atto dei “buoni risultati raggiunti in virtù di una collaborazione che si sta rivelando proficua e che richiama la possibilità di una “collaborazione pastorale“.

Nella sua Prolusione, mons. Filippo Iannone, Presidente del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei Testi legislativi, evoca il discorso tenuto da Papa Francesco alla Rota Romana nel 2014, in cui richiama l’attenzione di giudici romani e dei vari Tribunali sulla “connotazione pastorale” dell’organo giudiziale. In particolare, il Pontefice delinea la figura del giudice ecclesiastico, caratterizzandolo sotto i profili “umano, giudiziario e pastorale”. Il giudice deve distinguersi per la serenità nel giudicare e per la capacità di “calarsi nella mentalità e nelle esigenze della comunità in cui svolge il servizio”. Egli deve altresì perseguire “l’obiettivià nel giudicare” e, infine, capace di “trattare i fedeli coinvolti nel processo come il buon pastore”. Forte l’invito che Francesco rivolge i giudici a “non dimenticare mai la veste” di umanità e obiettività che indossa. Nel discorso del 2018, il Santo Padre chiosa l’argomento soffermandosi sulla “centralità della coscienza, di chi lavora per il tribunale e dei soggetti assistiti”. L’amministrazione della giustizia non è solo “un esercizio burocratico”, arido e distaccato; pertanto, nei processi matrimoniali si richiede la massima attenzione da parte del vescovo, al quale spetta il delicato compito di “discernimento delle coscienze, nell’operare dei tribunali”.
Al giudice il dovere di applicare la legge “con integra fama, qualità che dipende dalla stima altrui, non da intendere come virtù personale ma come riconoscimento dei fedeli”. Le osservazioni di Papa Francesco, come sottolinea mons. Iannone, pongono l’accento su quanto affermato in merito da alcuni papi successivi al Concilio. Sulla virtù della “prudenza come serenità nel giudicare” si era focalizzato Papa Paolo VI. La giustizia come “ministero di carità e verità” è invece il concetto argomentato da Giovanni Paolo II: “verità in quanto ha il compito di salvare il concetto cristiano di matrimonio e carità verso la comunità e le parti in causa”. A queste si affianca la posizione di Benedetto XVI, il quale specifica con nettezza che “giustizia e carità non si contraddicono”. I punti di vista menzionati convergono tutti su quello che costituisce l’aspetto fondamentale del lavoro svolto dal giudice, ossia l’equilibrio dato dal trinomio “giustizia, carità e verità” da tenere presente in ogni processo. Il giudice ecclesiastico, inoltre, “partecipa alla missione della Chiesa, servendo e adorando Dio. Così egli è tenuto ad evitare eccessi di autorità, esercitando il diritto in maniera più umana, atteggiamento che si traduce nel rispetto della volontà di Cristo “Supremo Giudice”, e nella capacità di riservare “ragionevole fiducia ai fedeli, in crisi e parti in causa nel processo”.

 

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